Ogni anno circa 50.000 donne cercano riparo e assistenza in un centro antiviolenza o in una casa rifugio. Ma sono molto di più quelle che vorrebbero farlo e non ne hanno il coraggio e lo motivano dicendo che non possono mandare in carcere il padre dei loro figli. La violenza domestica è un’enorme sommerso che si intravede solo nelle occasioni dei femminicidi. Nel 2023 sono state uccise 118 donne, di cui 96 in ambito familiare o affettivo. Il 40% delle donne che si rivolge ad centro lo fa ad oltre cinque anni dai primi episodi di violenza subita, sei su dieci sono madri, il 94% chiede di essere ascoltata e il 74% spera di essere accolta, le altre due richieste più frequenti riguardano l’assistenza legale e quella psicologica. Quanti crimini hanno impedito i 373 centri antiviolenza e le 432 case rifugio non lo sappiamo, non abbiamo dati, ma è certo che questa preziosissima rete di autodifesa, fatica a finanziarsi e in molti casi, sopravvive grazie al volontariato. La “Fondazione una nessuna e centomila” e la “Associazione differenza donna” stanno da tempo raccogliendo fondi a sostegno dei centri antiviolenza italiani. Ci sono molti artisti che contribuiscono a raccogliere fondi attraverso i video, per assegnarli a quei centri che rispondono ai criteri di trasparenza e inclusività, dando priorità al Sud e alle periferie e ai contesti particolarmente critici. Nel 2022 furono raccolti 200 mila euro versati a ciascuno dei sette centri antiviolenza coinvolti nel progetto. La situazione si fa più drammatica e gli obiettivi si fanno sempre più ambiziosi, da parte delle due organizzazioni. Il governo Meloni nel suo primo anno ha tagliato il 70% delle risorse per la prevenzione, dai 17 milioni del 2022 del governo Draghi, si è passati a 5 milioni nel 2023, concentrati perlopiù sulla parte della repressione e a reato ornai compiuto.
Michele Lospalluto