Lyudmila, la madre di Navalny che reclama invano il corpo del figlio Alexei, è l’icona più forte di questi tempi tremendi. Una donna anziana, nell’inverno siberiano, che dopo un altro Golgota si reca al sepolcro in cerca del corpo, non le basta vederlo, lo deve toccare, perché gli occhi delle madri sono anche le mani, sono anche le labbra in quei baci infiniti sulla fronte che da bambini ci misurano la febbre e nell’ultimo giorno ci aprono la porta del cielo. Per le madri la morte uccide alcune dimensioni del corpo di un figlio, non tutte: quella carne della loro carne contiene qualcosa di sacro, come sacra è la vita (ecco perché un figlio non muore totalmente finché è viva sua madre). Una nuova Rispa, che veglia, sola, con il suo mantello i corpi dei figli crocifissi, scaccia gli uccelli rapaci, onora il loro corpo. Un altro stabat, uno dei milioni di stabat della terra, una madre che parla con una forza infinita di pietas, di umanità, di dolore, di amore. Lyudmila, Maria, Antigone.
Luigino Bruni
Stabat mater dolorosa …
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