Avere il coraggio di raccontare quello che ha vissuto un contagiato covid non è semplice specialmente quando la sua storia dovrà essere letta da diverse persone. La persona che ho contattato è un collega, Antonio Cafagna, ha vissuto sulla sua pelle questo dramma per diversi mesi e il coraggio l’ha trovato anzi non si minimamente posto tale problema.
Puoi raccontarci brevemente qual è stata la tua esperienza di malattia, che cosa è stato per te?
La mia avventura COVID, se vogliamo chiamarla così, è iniziata con tutti i sintomi della normalissima influenza e la cura era rapportata alla sintomatologia.
Però nonostante la terapia la febbre scendeva e risaliva, ho fatto quindi un tampone molecolare che è risultato positivo. La notizia ha destato preoccupazione ma non avvertivo nessuno dei sintomi propri del COVID, avevo appetito e continuavo a sentire sapori e odori. Poi però il test con il saturimetro ha indotto il medico di base a chiamare il 118.
L’esperienza è stata molto impegnativa per la sensazione di avere fame d’aria, per le notizie di cronaca, per le lamentele e a volte le urla che sentivi provenire dalle altre stanze, per l’isolamento, per la lontananza e la mancanza del conforto dei familiari che vedevi solo tramite lo schermo del telefono e più passavano i giorni più si sentiva il peso dell’isolamento.
Quando hai capito che la situazione era veramente grave?
Quando sono partito con l’ambulanza e hanno acceso la sirena. Quello è stato il momento più brutto, il momento in cui ho realizzato la gravità della situazione, perchè non sapevo se sarei tornato a casa.
Come ricordi il giorno in cui ti hanno detto che eri fuori pericolo?
Ricordo il giorno in cui è venuto un giovane dottore che mi avvisava che del mio trasferimento in un COVID hotel poiché ero guarito dal virus, ma avendo ancora carica virale non potevo rientrare a casa. Il posto dove mi hanno trasferito era molto più confortevole di una stanza di ospedale, e di questo voglio ringraziare chi ha permesso di utilizzare alberghi e strutture alternative perchè era l’inizio per riavvicinasi alla normalità.
Ora sei guarito, ma tornando alla tua esperienza in ospedale, c’è stato un momento particolare che ricordi?
Premetto che devo ringraziare l’intera equipe della sezione Bacelli del Policlinico di Bari, però devo sottolineare la mancanza di rapporto paziente/medico. I medici passavano la mattina, controllavano febbre, ossigenazione e pressione sanguigna e andavano via. Ho dovuto insistere più volte per sapere del mio stato di salute, perchè non davano niente. Di contro il personale infermieristico, sebbene alle prime esperienze, ha dimostrato una grande professionalità e umanità dando supporto psicologico e morale di fondamentale importanza per i pazienti isolati dai loro affetti.
Quando vedi nella tua città ragazzi e gente adulta non rispettare le regole minime richieste, cosa ti senti di dire?
Un giorno mi è capitato di dire ad un gruppetto di ragazzi che dovevano portare la mascherina e distanziarsi, ma senza alcun risultato, anzi al contrario hanno schernito e ridicolizzato le mie parole.
La realtà odierna, purtroppo, non consente di fare osservazioni perchè non sei ascoltato, che siano giovani o anziani. Nessuno sa rinunciare ad aperitivi e festini, divertimenti e assembramenti. Sembra siano di estrema necessità e ai TG abbiamo visto anche episodi di disobbedienza civile, con aggressioni alle forze dell’ordine, perchè il divertimento è un diritto.
Oggi siamo arrivati, forse, alla fine della pandemia, ma non dobbiamo abbassare la guardia. Il COVID è un virus subdolo, non sai quando e come ti colpirà.
Andrà tutto bene!
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