Il tragico assassinio di Giulia Cecchettin ha scatenato una reazione immediata di uomini e donne, per le modalità in cui è avvenuto, sparizione prima dell’assassino e dell’assassinata e po successivo ritrovamento, con la forte perdita della speranza di ritrovarli vivi. Quel delitto chiamata nel linguaggio corrente femminicidio, è sempre più frutto violento dei rapporti sociali di genere. Molte donne e molti uomini si sono riconosciuti nelle parole della sorella Elena, che ha chiesto di non osservare silenzio, ma di fare rumore. Parole subito raccolte dal movimento femminista “Non una di meno” (NUDM), per non dimenticare, per esistere, per non restare mute e muti difronte a questo mondo che produce violenza, guerra, rapporti violentemente asimmetrici. Le donne che si battono contro la violenza, non solo quelle del movimento femminista, ritengono che tutto questo è il frutto di una civiltà patriarcale che, attraverso le famiglie tradizionali, ha finora garantito più o meno ordinati sviluppi produttivi, ma risulta evidente a tutti che questo sistema sta subendo gli effetti di un cambiamento epocale. Non si riesce ad accettare che gli spazi acquisiti dalle donne, di libertà su di sé, sul proprio corpo, sui propri desideri, sono irreversibili e potenti. Il femminicidio viene considerato come omicidio di potere dell’uomo sulla donna. Manifestare contro la violenza sulle donne, con la partecipazione di donne e uomini, con la presenza di molti giovani va benissimo, sono la dimostrazione di un cambiamento di sé, ma dicono le donne, non è in gioco solo la volontà, ma la materialità dei corpi, l’immaginazione dei desideri, la propria collocazione nelle relazioni personali e sociali. Le donne da anni hanno iniziato una rivoluzione nel cambiamento dei rapporti personali e sociali, è ora che questa rivoluzione, non solo venga accettata, ma avviata anche dai maschi, per un nuovo rapporto di genere. Quali sono gli obiettivi delle donne che hanno manifestato in questi giorni? Richieste di modificazione delle allocazioni della spesa pubblica, a istanze di realizzazione di elementi di uguaglianza sostanziale e di valorizzazione del lavoro produttivo. La spesa pubblica deve essere più indirizzata a finanziare servizi(asili nido, consultori, assistenza antiviolenza) e donne che non lavorano per renderle indipendenti e famiglie in difficoltà (per queste ultime i fondi sono insufficienti). L’uguaglianza di genere deve comprendere il rapporto lavorativo.
Non è più accettabile che a parità di titoli e mansioni le donne debbano essere pagate di meno o rischiare la carriera quando rimangono incinte. Un cambiamento radicale verso rapporti di dipendenza o di obbligo. La giustizia. I processi spesso sono lunghissimi e rischiano la prescrizione. L’abolizione del rito abbreviato, anche quando la condanna non prevede l’ergastolo, garantirebbe una condanna più giusta. Ma i maggiori provvedimenti devono essere fatti sul piano della prevenzione. Educare i ragazzi a partire dalla famiglia, fino alla scuola, all’educazione affettiva e sessuale nel rapporto di genere. Introdurre nello insegnamento della storia quello delle conquiste dei diritti delle donne e delle varie discriminazioni che ancora subiscono. Sul problema violenza ci sono dati dell’ISTAT molto interessanti e preoccupanti. Il 4% degli italiani dice che è uno schiaffo al rapporto di coppia e va bene. Il 10% dice che controllare il telefono della partner va bene. Sono dati un poco in calo per fortuna, ma sono un poco più alti tra i giovani. Il 40% degli uomini dichiara che una donna se vuole può comunque sottrarsi a un rapporto non voluto e il 10% dichiara che se una donna si ubriaca vuol dire che se l’è cercata. Queste non sono impressioni, ma dati statistici forniti dall’ISTAT e il risultato è che 105 mila donne, si sono rivolte a centri antiviolenza nel 2022. I casi peggiori sono stati gli omicidi, 126 nel 2022, di cui 106 commessi dal partner, gli altri casi da famigliari. Sorprendentemente la parte d’Italia dove si registrano di più questi fenomeni, è il Nord-Est. Emilia Romagna, Veneto, il Sud, il resto del Nord e il Centro, hanno dati più bassi. Non ci sono dati regionali, ma sappiamo da altre fonti che in Puglia nel 2013 ce ne sono stati diversi e che sarebbe la seconda Regione del Sud dopo la Sicilia. C’è un rapporto tra questi fenomeni e l’economia. Un paese sviluppato, non è soltanto ricco, ma anche civile, nel quale i rapporti tra le persone sono normali e soprattutto c’è parità di genere. Senza parità una donna non può avere sviluppo, non cresce l’economia se non lavorano, se non sono riconosciute nell’ambito famigliare, come nell’ambito del lavoro. Certo una lunga strada da fare e fa molto bene parlarne.
PUKOV