La cultura umanistica appresa negli anni degli studi classici ha formato l’animo di ambedue al rispetto delle idee anche nella differenza di vita. Il politico Tommaso e il prete don Ciccio non hanno mai dimenticato l’esperienza dell’amicizia vissuta nell’adolescenza. L’istinto umano del primo, che si offre per i bisogni degli ultimi quali erano per lui i contadini di poca terra e i braccianti del sud, si esprime nella pratica di una lotta sindacalista ad educare una coscienza di classe. Nel secondo agisce una umanità che si fonda nel “Figlio dell’Uomo”, Gesù Cristo, che privilegia gli ultimi, ma con un amore universale. Tommaso alimenta il suo umanesimo dallo studio di Virgilio, di Tommaso Moro, dell’umanista Erasmo da Rotterdam. Pubblicò la poesia di Virgilio nel 1930, per la quale ricevette il 1° premio nazionale dell’accademia scientifica di Milano. La ricorrenza del bimillenario del poeta lo esorta a rivelare la nobiltà dell’uomo, che ha sempre nella sua natura la dignità di persona, anche nella debolezza dei suoi limiti. L’antropologia esamina il bene, radicato nell’essere umano, anche per estirpare l’istinto egoistico, capace di distruggere la fratellanza e la solidarietà. L’umanesimo è un ritorno all’uomo, alla sua laicità senza opporsi alla fede nella divinità del creatore. “Fede e ragione umana sono due ali per volare più in alto”, dirà poi san Giovanni Paolo II. In questo giudizio si può inserire l’umanesimo di don Stasolla, che trova l’equilibrio umano tra razionalità e irrazionalità. Norberto Bobbio scrive che l’umanesimo di Tommaso Fiore è quella concezione della storia che è stata fatta dagli uomini, ma dobbiamo continuamente farla e rifarla a immagine e somiglianza dell’uomo. E’ storia di libertà, di giustizia, di emancipazione con una lotta continua in sé e contro gli imperialismi. Fiore scopre la prova di questo ideale nell’opera “Utopia” di Tommaso Moro e in Erasmo da Rotterdam. Nel primo si coglie l’onestà e il coraggio di affrontare il martirio per difendere il suo ideale, anche se sembra una utopia, un sogno l’isola di vita, libera e fraterna. L’opera più famosa di Erasmo “Elogio della Follia” affascina per il senso critico di un umanesimo, espresso con ironia e con amore della verità evangelica. Essa critica la verità cristiana come è interpretata e vissuta nell’età del Rinascimento più sotto l’aspetto giuridico e moralistico e meno umano con i suoi bisogni; è “una falsa religione che si perde nel cerimoniale ipocrita dei riti, nel culto idolatrico superstizioso delle immagini”. Erasmo fa “un appello etico – religioso contro il malcostume e la decadenza della pratica religiosa e della scienza teologica”. La follia del cristiano consiste “nel contemplare il mistero cristiano: la follia della croce”, (Cfr. Veneranda Castellano, La tematica della follia di Erasmo da Rotterdam, pp. 33-37, Laicata Editore). Tommaso Fiore condivide l’analisi della follia della croce perché indica l’amore sacrificale per gli esseri umani, che vengono salvati dalle situazioni precarie della umanità.
Egli, dopo la laurea a 23 anni nel 1907, si dedicò nella sua città allo studio dei problemi sociali. Nel 1910 iniziò a insegnare Italiano a Gallipoli nella scuola “R. Tecnica” per due anni, durante i quali nascono due figli, Vincenzo e Vittore da una sua allieva, Maria Ottavia Piccolo, che sposerà nell’agosto 1913 all’età di 29 con il ritorno ad Altamura. La moglie sarà “una presenza costante di equilibrio e di forza morale nella sua vita”, (Giulia Bordo, In viaggio per la Puglia con Tommaso Fiore, p. 32, ed. Liceo Scientifico Federico II di Svevia – Altamura, novembre 2003). L’esordio dello scrittore Fiore cominciò con il saggio “Sviluppo del pensiero di Leone Tolstoj, interessato allo populismo evangelico e al socialismo umanitario. Sono questi gli elementi basilari inculcati fin dalla prima formazione culturale, dalla famiglia, dal Collegio Leoniano, dall’ambiente universitario di Pisa. Il primo periodo altamurano documenta il suo impegno politico di lotte contro la corruzione del deputato e sindaco Pasquale Caso, che segue il “trasformismo” di Giovanni Giolitti. L’età giolittiana dura fino alla vigilia della Grande Guerra (1914-1918), tempo in cui si evidenzia il protagonismo di Pasquale Caso. La politica dei “due forni” di Giolitti, diversi tra il nord e il sud d’Italia, fu denunciata dal deputato Salvemini che lo definì “Ministro della malavita”. La politica liberale e democratica del riformismo e del neutralismo del governo durante gli scioperi per il contratto di lavoro tra industriali e operai nel triangolo industriale Torino, Milano, Genova e nelle regioni centrali, diventava “protezionismo” nel meridione affidandola ai padroni latifondisti detti “Galantuomini”, che opprimevano braccianti e contadini. Tommaso, ancora giovane e seguace di Salvemini, si “scaglia” con parole violenti in un comizio contro Pasquale Caso, che era ritenuto un liberale progressista democratico a favore della borghesia contro la Destra conservatrice della nobile famiglia Sabini. Nel 1913, durante il periodo elettorale, accade l’episodio che causò una reazione di piazza con sassate tra i vari gruppi opposti, tanto che intervenne il prefetto di Bari a censurare l’atteggiamento di Fiore. Erano le prime elezioni a suffragio universale maschile, (Basile Vincenzo, La Prelatura “Nullius” nella storia di Altamura del 1900, p. 36, ed. Grafica & Stampa, giugno 2021). L’ascesa politica del sindaco e deputato altamurano terminò nel 1920, ostacolato dai nuovi movimenti politici e culturali dei nazionalisti di Celio Sabini e dei combattenti di T. Fiore e del prof. Michele Giannelli. Dopo la prima guerra mondiale cresce ad Altamura per opera di don Felice Bolognese il movimento dei don Luigi Sturzo, il PPI, laico ma che si ispirava ai principi evangelici, fondato in Sicilia prima della guerra. Il Bolognese fu contrastato e oltraggiato da Pasquale Caso, eletto grazie al “Patto Gentiloni” che invitava i cattolici a sostenere Giolitti purché rispettasse le leggi della Chiesa. Alcuni preti e laici cattolici, affiancarono don Felice. Il parroco di san Nicola, don Giovanni Iurino, denunciò pubblicamente il tradimento di P. Caso che non rispettava quel “Patto” per la sua politica di trasformismo e clientelismo.
Don Francesco Stasolla sostenne la politica dei cattolici e attuò il suo lavoro con l’insegnamento nel liceo “Cagnazzi” e l’impegno pastorale nella chiesa di san Domenico. Ma chi è veramente don Ciccio? Egli stesso si definisce così:” Viva lu prèvete Ciccio Stasolla/ latte d’amèlene e pasta frolla/ ca ch’la sciò chele t’allisce e ponge…/ na volte pizzeche… na volte jònge!/ Beh! Ch’ lu scùpele è belle è fatte/ du stu z’ prèvete l’autoretratte!!!”. Tommaso apprezza la cultura e l’ironia dell’amico, lo spirito di rettitudine e di moralità, sebbene vi fosse tra i due una visione molto distante della vita politica e sociale. Il 16 aprile 1966, ormai anziani con anni 83 e 84, Fiore scrive a Stasolla: “ Carissimo Ciccillo, non vorrei che tu pensassi che io, per eccesso di lavoro, lasci cadere le cose tue e di Altamura. Non sono così smemorato e così poco affettuoso. La tua poesia mi è piaciuta per la sua vivacità e, se ne hai altre, mi farai gran piacere mandarmele. Ma tu sei un bel tipo. Io spero di scoppiare ridendo. Comunque troverò qualcuno che mi assista nel momento supremo. Tu per esempio saresti capace di farmi morire ridendo. Salutami i tuoi fratelli e ricambia gli auguri (pasquali): è come se scrivessi loro. Un abbraccio affettuoso dal tuo affezionatissimo Tommaso” (Basile Vincenzo, op. cit., p. 204). Da questo scambio epistolare si rivela l’umanità dei due amici che rispettano la libertà delle proprie idee e delle scelte politiche. Nel primo decennio del fascismo Tommaso lottava con i suoi scritti ed educava i suoi alunni alla libertà e al senso critico delle vicende storiche; don Ciccio esaltava la figura di Mussolini con la sua poetica come l’Uomo della Provvidenza per aver risolto la Questione Romana. La pace tra il Regno d’Italia e la Santa Sede attraverso i Patti Lateranensi e il Concordato dell’11 febbraio 1929, fu ritenuta dal Duce come “il suo fiore all’occhiello”. Pio XI si accorse ben presto della svolta dominatrice del fascismo, che non rispettava i Decreti sottoscritti quando voleva soggiogare la gioventù dell’Azione Cattolica. Don Stasolla, fedele al Papa che denunciò apertamente il tradimento, cambiò opinione e ammise il male della dittatura. Così aderì ai movimenti dei cattolici e alla DC dello Scudo Crociato con la parola “Libertas” contro il pericolo del comunismo ateo. La Poesia “Uagnune japrite l’occhiere” fu la propaganda a favore del “partito di Cristo”: “Madonna àllùmene/ li comuniste/ e mbrazzele puertele/ a Gese Criste” (Basile Vincenzo, op. cit., p. 206). Il politico Fiore aderì al movimento dei Combattenti dopo la Grande guerra, poi si avvicinò al Partito d’Azione, infine al socialismo. I due umanisti finirono gli anni in età avanzata, don Ciccio a 83 il 29 agosto 1966, Fiore a 89 nel 1973.
Vincenzo Basile