I rumori del conflitto non devono chiudere il cuore alla speranza, ma devo rendere desta la coscienza, la quale invita ad alzarsi e camminare, e forse dopo seguirà anche il miracolo della pace, nella quale noi crediamo e speriamo…
In questo ultimo mese guardando la trasmissione su Rai 1 “A su immagine” viene spesso intervistato un prete direttamente dall’Ucraina, precisamente da Kiev bombardata dalle bombe russe, don Mykhaylo. Sentirlo parlare con una semplicità unica, serenità di espressione concetti di pace e preghiera mentre intorno a lui c’è solo morte e distruzione ti riempie di speranza. Ho pensato di contattarlo e chiedere se era disponibile a rispondere ad alcune domande. La sua è stata di una disponibilità unica.
-Don Mykhaylo ( in italiano don Michele) ci racconti in poche righe la tua storia?
Sono un prete da 7 anni. Ho avuto la possibilità di studiare in Italia. Quindi ho le due patrie: Ucraina e Italia. Perché oltre lo studio mi sono formato come persona anche in cultura italiana. Dopo lo studio alla Pontificia Università di San Tommaso a Roma ho fatto un esperienza in America latina lavorando nei centri di recupero per i tossicodipendenti. Nel 2013 sono tornato all’Ucraina e sono diventato prete. Proprio all’inizio del mio servizio sacerdotale è stata Rivoluzione della Dignità in Ucraina dove ho visto i primi morti, ho accompagnato i familiari che hanno presso i suoi cari. é stata un esperienza molto forte che ha segnato la mia vita. In questi anni mi sono occupato di un progetto per i giovani ucraini – l’Accademia sociale che tenta di dare una risposta concreta al problema della disoccupazione in Ucraina. Attraverso l’Accademia, si vuole affrontare il problema della disoccupazione giovanile, attivando iniziative di formazione a una nuova cultura del lavoro, promuovendo e sostenendo l’imprenditorialità giovanile in un’ottica di sussidiarietà, solidarietà e legalità, secondo i principi della Dottrina Sociale della Chiesa. In queste settimane di guerra cerchiamo di aiutare alle parrocchie, agli enti non profit a fornire gli aiuti alle persone svolate. Il quadro resta segnato dall’incertezza.
-Com’è cambiata la tua vita in questo ultimo mese?
24 febbraio 2022 ha cambiato la mia vita. Sembrava un film della seconda guerra mondiale. Appena abbiamo sentito i bombardamenti, ci siamo riuniti per vedere cosa possiamo fare in una situazione del genere. Quindi tutto il team dell’Accademia si è spostato in Ucraina occidentale e subito si è attivato per aiutare i partner. Io personalmente avevo iniziato a girare le parrocchie per aiutare i preti a preparare i luoghi dove posso ricevere le persone svolate.
Non si possono immaginare le cose che abbiamo visto là fuori. Sono immagini che non si possono dimenticare: ovunque tutto distrutto dalle bombe, e a volte si deve girare intorno a corpi abbandonati sulla strada. Questa tragedia grida al cielo! Tutti hanno cercato di salvarsi la vita e di raggiungere un posto sicuro. Con molte persone non abbiamo contatti: non abbiamo idea di dove siano e chi sia ancora vivo.
La guerra ha cambiato in profondità la “geografia” fisica e spirituale della Chiesa in Ucraina. Siamo diventati una chiesa unita attorno al comandamento di amare Dio e il prossimo. Una Chiesa, che nonostante il pericolo, rimane e sceglie di stare a fianco della gente che soffre. Una Chiesa che cerca di proteggere e salvare la vita. Una Chiesa al servizio di tutti, nella società. Una Chiesa dove tutto è condiviso e se c’è una parte che soffre, tutti, in Ucraina e nel mondo, sentono e vivono quella stessa sofferenza.
-Hai mai cancellato una celebrazione?
Da quando è iniziata questa guerra non abbiamo mai smesso di celebrare le Messe. Le trasmettiamo anche online, tramite i social. Ma non abbiamo mai smesso neanche di andare a fare visita alle famiglie, di stare accanto ai profughi. Ogni sacerdote, nelle proprie parrocchie, cerca di gestire, come può, l’aiuto concreto alle persone.
-Hai mai paura?
Но una paura naturale. Dall’altra parte come prete cerco di essere vicino alla gente. La gente vuole essere ascoltata e accolta com’è. In tutto questo capisco che devo essere io seminatore della speranza aiutando gli altri ad andare avanti.
Di fronte a quanto sta accadendo provo un forte disagio. Noi per primi, pur impegnati sul fronte dell’accoglienza avvertiamo, come ha detto il Papa, un senso di impotenza e di inadeguatezza. Questa guerra efferata fa soffrire tutti, provoca morte, paura, sgomento, divisione ed un odio fratricida. Constatiamo il fallimento dei negoziati, delle intese, dei vertici, delle minacce. Davanti a questo scenario non ci sono umane parole che possano confortare. Cadono tutte le rassicurazioni. Ci resto solo Dio. Consapevoli che ogni volta che la vita si apre a Dio, la paura non può più tenerci in ostaggio.
-Come guarda al futuro?
Non possiamo dire come sarà la situazione la settimana prossima, anche perché per noi la situazione è la stessa da 8 anni, siamo già in guerra. Ma soltanto ora l’Europa ha acceso i riflettori su di noi. E’ stato Putin a costringerla ad aprire gli occhi, dettando la sua agenda e ponendo le sue condizioni: non vuole la Nato alle sue frontiere. La differenza con il 2014 è che oggi non siamo soli. Il mondo si è accorto che esistiamo.
Accanto all’incertezza del futuro e di conseguenza a tutti i timori che ne derivano, ci sono la stanchezza, l’angoscia e la paura che non si possa recuperare ciò che di buono in passato è stato vissuto. Spesso nel tempo dell’accoglienza si scorgono dei volti assorti nei pensieri e chiusi in sé stessi. Alla domanda su cosa accade, c’è solo una risposta che fa riferimento a ciò che è stato lasciato e forse non ci sarà più, ai sacrifici fatti per costruire un’esistenza dignitosa, alla vita dei figli stravolta e come sempre alla persona amata impegnata nella trincea del conflitto. Sono pensieri che fanno male, perché hanno il peso della paura, dell’angoscia e della morte. E come sempre ritorna l’interrogativo: cosa avverrà in futuro? C’è solo una risposta, per alcuni insoddisfacente, ma pur sempre una risposta che apre il cuore alla vita e la coscienza alla responsabilità di procedere nel cammino senza mai arrendersi: la risposta è la speranza.
Ho la speranza che si trovi una soluzione pacifica. I rumori del conflitto non devono chiudere il cuore alla speranza, ma devo rendere desta la coscienza, la quale invita ad alzarsi e camminare, e forse dopo seguirà anche il miracolo della pace, nella quale noi crediamo e speriamo…
Nicola Corrado Salati