AI legami familiari, alle tradizioni popolari, ai luoghi della nostra socialità che fanno da scenario ai ritratti di vita quotidiana: “la gnostre” (il claustro), “la funtène” (la fontana), “U Cuastidde” (piazza Castello); alle voci, i suoni, i colori della nostra città, ai sapori della nostra cucina, dal pane agli involtini.
E’ uno scrigno delle nostre radici, del passato che oggi più che in ogni altro momento dobbiamo ricordare.
C’è il riconoscimento della sapienza popolare coltivata all’interno dei legami famigliari fatta oggetto di
scambio reiterato tra padre e figlio per sancire un vero patto tra generazioni.
C’è la leggiadria del poetare in rima, in vernacolo, vera cifra stilistica di tutta la poesia popolare.
Nell’anno dedicato al sommo poeta Dante, è un omaggio al nostro dialetto, presentato nella cornice del Museo Nazionale, tempio di storia e cultura.
Se è vero che “nel dialetto c’è tutta la nostra identità”, bisogna
riconoscere che il libro non è solo una raccolta di poesie in dialetto, ma è un pezzo
della nostra storia ma anche del nostro futuro.
Il libro di Lillino Calia “Quant’è bèll Jaltamure, U puène cu suche”, ti riporta alla vita di un tempo
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