TROPPE DISUGUAGLIANZE SI REGISTREREBBERO, DALLA SALUTE, ALL’AMBIENTE, ALLA SCUOLA
Il documento di economia e finanza (DEF) presentato dal governo Draghi, include tra i collegati un disegno di legge per l’attuazione dell’autonomia differenziata. Prevista dalla nostra Costituzione, dall’art. 116, comma 3, ma da tempo se ne parla, almeno dal 2018, quando tre Regioni del Nord, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, hanno chiesto allo stato centrale maggiore autonomia su cinque materie ambiente, salute, istruzione, lavoro e rapporti internazionali. Da questa maggioranza con una consistente presenza di posizioni a forte trazione autonomista, Lega e Forza Italia, c’era da aspettarselo. Voglio ricordare che il famoso Titolo V della Costituzione fu riformato dal governo Amato nel 2001, ma fu fortemente voluto dal Ministro Bassanini che già nel 97 aveva decentrato funzioni statali alle regioni e agli enti locali, con l’obiettivo ad oggi non raggiunto di ridurre la burocrazia e la spesa pubblica e con il risultato di sancire disparità di trattamento nell’erogare i servizi ai cittadini. Perché dire no all’autonomia differenziata? Parto dalla sanità della quale con l’istituzione dei Servizi Sanitari Regionali, frutto dell’aziendalizzazione, non si può più parlare di un Servizio Sanitario Nazionale come previsto dalla prima legge di riforma, la 833 del 1970, ma di tanti servizi quante sono le regioni, con diversi sistemi di accesso e di coperture. Il più fondamentale dei diritti, la salute, è tutelato in maniera precaria e ineguale e i maggiori limiti sono venuti fuori durante questa pandemia. Ogni Regione ha adottato misure e interventi diversi, anche in difformità a quanto deciso dal governo centrale, mettendo a rischio (in alcuni casi le misure hanno provocato molti morti) la vita dei cittadini ed evidenziando la necessità della centralità del Sistema Sanitario, a tutela della salute pubblica garantita in maniera uguale a tutti. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), le priorità variamente dichiarate, come transizione ecologica, digitalizzazione, giovani, donne, Mezzogiorno, richiedono la definizione di obiettivi strategici nazionali e la capacità di formulare e implementare politiche nazionali forti volte a realizzarli. Certamente ampie competenze regionali in tema ambientale metterebbero a rischio la transizione ecologica, come metterebbero a rischio la necessità di un riequilibrio del sistema scolastico e universitario, essenziale per evitare emigrazioni di giovani qualificati dal Sud al Nord e dall’Italia verso l’estero. Una estesa regionalizzazione di strade, autostrade, ferrovie, aeroporti, sarebbe incompatibile con una strategia di riequilibrio a favore del Mezzogiorno dell’alta velocità e più in generale dei trasporti e della mobilità. Un’autonomia regionale sui porti favorirebbe e ostacolerebbe un rilancio del sistema portuale del Sud come base logistica nello scacchiere euromediterraneo. Sentiamo dire spesso, anche da personaggi autorevoli, che dalla crisi non deve uscire la stessa Italia, con qualche toppa a riparare la stessa crisi che ci ha duramente colpiti. Deve uscire un’Italia nuova e diversa. E’ giusto. Ma dall’autonomia differenziata, può rivelarsi difficile, o persino impossibile, tornare indietro, per come è disegnata nella norma costituzionale. Se si attuasse in modo sbagliato nel corso dell’attuazione del PNRR, potrebbe essere la pietra tombale sul piano. Sulla scuola. Non può essere utilizzata in materie strategiche per l’unità o l’identità del paese, come ad esempio la scuola. La pandemia ci ha evidenziato un’Italia piuttosto sofferente perché troppo diseguale. L’ultima cosa di cui il nostro paese ha bisogno è che il peso delle diseguaglianze aumenti, si allarghi.
Michele Lospalluto