I nostri ambulatori spesso vuoti, ma con liste lunghissime. Gli esami preoperatori eseguiti in più giorni, i pazienti cronici per i controlli non vengono direttamente inseriti nelle liste.
La sanità e malata? Di questo tema si discuterà giovedì 29 febbraio alle ore 18,30 presso la sala sinodo della chiesa della Trasfigurazione. Interverranno il Sen. Ignazio Zullo membro della 10^ commissione e il prof Loreto Gesualdo direttore della unità di nefrologia e dialisi del Policnico di Bari, con la moderazione della dott.ssa Daniela Storani di Argomenti 2000.Iniziamo con l’ultimo provvedimento approvato da questo governo. Ha ritoccato il contributo forfettario dovuto per l’iscrizione volontaria degli stranieri al Servizio Sanitario, per ottenere l’assistenza, aumentato del 600%. Questa stangata è stata inserita nella finanziaria e nella nuova legge sull’emigrazione. Per gli studenti senza famigliari a carico, privi di reddito e di contributi pubblici, la tessera sanitaria passa a un costo di 700€,dai 149 € annui, per i loro famigliari si passa ai 1200 € dai 219 € attuali, ogni anno. Un accanimento contro i più deboli, che si fa ancora più grave perché colpisce suore e religiosi stranieri che svolgono attività di volontariato, la cui tassa passa dai 387 € ai 2000. Una ingiustizia che colpirà tutti gli immigrati. Il comparto sanitario e quello educativo nel nostro paese, sono letteralmente senza una progettualità, se non quella di sopravvivere e i loro budget sono in decrescita sostanziale, dichiarati meno strategici di quello del mercato delle armi. Il quadro socio-economico, oscilla (aldilà di qualsiasi giudizio politico), tra i toni trionfanti per una promozione da parte di agenzie di rating e la ripetitiva conferma di statistiche ufficiali che danno disuguaglianza, povertà, disagio in aumento: i livelli salariali complessivi sembrano sempre meno quelli di un paese tra i 20 o addirittura 8 più avanzati del mondo. I dati. Secondo il rapporto OCSE 2023 dicono che la spesa sanitaria pro capite italiana è di 3709 dollari meno di quella della Germania, 2339 meno di quella della Francia. Crolliamo al 9° posto per aspettativa di vita. Gli investimenti sanitari sono inferiori perfino alla media. I morti per inquinamento atmosferico sono il 70% in più della media. I 6,2 infermieri per 1000 abitanti ci qualificano come alieni rispetto ad una media di 9,2, che suggerisce che paesi dello stesso livello complessivo dello stesso sviluppo ne hanno il doppio. E lo stesso vale per posti letto. Dove primeggiamo e per numero di farmacie, che si avviano ad essere le concrete-finte case di comunità. Siamo al 3° posto nel mondo, superato dal Belgio, di poco e dal Giappone, molto di più. Rapporto Caritas 2023. Sulla povertà e l’esclusione sociale, i dati ci dicono che ci sono oltre 5,6 milioni di poveri assoluti, pari al 9,7% della popolazione e a 2.187,000 famiglie e viene considerata componente strutturale. La povertà degli stranieri è del 33,2%. Il lavoro non è più una garanzia di vita nella dignità. Il problema. Quando si passa dalla descrizione di pezzi della realtà coi i dati, alla considerazione delle cose da fare nasce il problema, nonostante gli indicatori ci dicano le scelte che la politica deve fare, perché è la politica che decide i cambiamenti. Accettare di mantenere l’attività a pagamento all’interno delle strutture pubbliche (attività intramoenia) ai medici e da poco anche a tutte le altre professioni sanitarie, facendo concorrenza all’interno degli stessi servizi dove operano e considerarla come strumento di abbattimento delle liste di attesa, è perverso certamente e autolesivo. Non esiste sistema sanitario al mondo che dopo aver speso milioni all’anno (per i medici si calcola nei 10 anni di formazione una spesa di oltre 280 mila € per gli infermieri nei 3 anni 50-60 mila €) per formare gli operatori, certo con il sacrificio degli studenti e dei loro familiari, li aggiorna alle nuove tecnologie, per consentire loro di fare concorrenza all’interno della struttura, approfittando delle lunghissime liste di attesa. Ma il quadro si fa ancora più perverso quando si autorizzano i direttori di strutture complesse, ovvero gli ex primari, nonostante firmino un contratto esclusivo, a svolgere attività a pagamento nel proprio studio. Con il rapporto di esclusività non possono svolgere attività extramoenia (fuori dai servizi pubblici) e non mi risultano che ci siano deroghe, se non il timore di perderli e vederli transitare verso le strutture private.I dubbi che si pongono su come vengono stilate le liste di attesa, soprattutto quelle per intervento chirurgico, sono legittime. Nella mia esperienza di oltre 40 anni nelle strutture, anche con compiti organizzativi, non ho mai visto un direttore medico di un presidio fare un controllo, come non ho mai visto fare verifiche sull’attività a pagamento che percentualmente non deve superare il 50% di quella istituzionale. Questa scelta è perversa e autolesiva, perché molti medici non riuscendo a superare la selezione per frequentare le varie specializzazioni, condizione necessaria per partecipare ai concorsi, anche per il numero chiuso nonostante le fortissime carenze, decidono di trasferirsi all’estero. Vengono accolti meglio, pagati di più, oltre il doppio ed entrano nelle scuole di specializzazione. Tanti soldi spesi dallo Stato per vedere centinaia di giovani medici, ma anche centinaia di infermieri, ogni anno contribuire a far crescere i servizi sanitari di altri paesi. Ma quello che peggiora la situazione non è soltanto la disuguaglianza che si crea tra un cittadino che può accedere ad un servizio a pagamento e un altro che per povertà non può e qui salta il diritto alla salute previsto dall’art. 32 della Costituzione ed è gravissimo. Ma le diseguaglianze si creano anche tra i medici, perché non tutti possono fare l’attività a pagamento, soprattutto quelli che lavorano al pronto soccorso, non avendo uno spazio di degenza e quindi non richiesti dagli utenti. Ecco perché i concorsi per medici di pronto soccorso secondo gli ultimi dati, vanno sempre deserti, perché lavorano di più e con stress, rischiano colluttazioni e a volte violenze con gli utenti, vengono pagati come gli altri, ma non posso svolgere attività privata che permette loro di arrotondare lo stipendio.
E’ possibile un S.S.N. sostenibile? Certo ci vuole la volontà politica di chi questo paese lo governa per realizzare: 1. una riforma ter che abbia come obiettivo la prevenzione primaria, di cui non si parla mai se non di quella secondaria che è diagnostica precoce. Deve partire dal territorio, laddove le malattie nascono e vanno prevenute con interventi a tutela della salute collettiva e non solo del singolo, ovvero a partire dall’ambiente in cui si vive. Con la prevenzione si risparmia e tanto, 2. Il S.S.N. deve essere pubblico, solo quello pubblico non è interessato al consumismo sanitario, gli operatori tutti devono essere pagati di più e devono solo lavorare in quelle strutture; 3. Una nuova organizzazione più razionale ed efficiente potrà tagliare i costi di gestione; 4. Le risorse e la compatibilità. La lotta all’evasione fiscale, si superano oltre 100 miliardi l’anno, deve essere seria e stringente, per recuperare le risorse, come il taglio delle spese militari. Basterebbero questi interventi che sono di sistema e strutturali. Ma c’è un problema: questo governo come i precedenti non ha la “cultura” e la volontà di avviare un percorso di cambiamento vero. La parola e le scelte passano ai cittadini.
Michele Lospalluto