Il legame di Tommaso Fiore con Gaetano Salvemini, deputato e sindacalista, ha prodotto l’orientamento politico in molti avvenimenti sociali per tutta la vita dal 1912 in poi. Dal filosofo di Molfetta apprese il modo di lottare contro la corruzione dei governi nazionale e locale, “l’idea dell’inseparabilità tra ricerca storica e azione pratica”, (Cfr. Giulia Bordo, In viaggio per la Puglia con Tommaso Fiore, p. 33, ed. Liceo scientifico Statale “Federico II di Svevia”, Altamura 2003). Così fu per la scelta interventista nella Grande Guerra, che l’Italia iniziò nel 1915 a fianco dell’Intesa di Francia e Inghilterra contro l’imperialismo di Germania e Austria. Nel marzo 1916 Tommaso partì volontario, dopo una preparazione militare a Potenza, con il grado di tenente, destinato alle trincee dell’Isonzo. Viene ferito, fatto prigioniero, portato in Germania; lì fece esperienza della vita priva di libertà con grande timore, aggrappandosi alla speranza, espressa negli scritti: “Eroe svegliato, asceta perfetto”, Eroe, uccidi”, “Alla Giornata”. Con la sconfitta degli imperi centrali il prigioniero venne liberato e nel 1919 ritornò ad Altamura. La guerra in trincea e la prigionia insegnarono la necessità di una organizzazione politica per sollevare le classi meno abbienti per difenderle dalla padronanza del blocco agrario e industriale. Assunse la dirigenza dell’Associazione nazionale Combattenti di Terra di Bari. Aderì al movimento di Salvemini: “Lega Democratica” per il rinnovamento nazionale, (Giulia Bordo, op. cit. p. 34). Il Combattentismo, a livello locale, agiva con azioni militari per imporre lo scioglimento forzato di una serie di amministrazioni in Puglia: Palo del Colle, Turi, Ruvo e altri Comuni del barese. Anche ad Altamura contadini e braccianti del movimento Combattenti attuarono un’azione di “jacquerie”, l’incendio del Municipio. Secondo Felicia Cagnotti “ l’episodio più clamoroso si era avuto in aprile del 1919 ad Altamura con la distruzione della casa comunale ed aver visto alla testa delle masse popolari Tommaso Fiore e i Combattenti” ( Felicia Cagnotti, Storia Contemporanea, a. XIII, n. 3, p. 432, giugno 1982, Bari). Secondo altri storici locali Tommaso non partecipò direttamente all’assalto del Municipio, ma influì il suo pensiero contro la borghesia burocratica e corrotta. Finalmente con le elezioni locali alla fine dell’anno 1920 il professore Tommaso Fiore venne eletto sindaco il 16 di novembre e resterà in carica sino al 28 agosto 1922. Per due anni la stabilità politica e l’amministrazione popolare di sinistra riuscì a dare ordine nei settori fondamentali della vita sociale ed economica. Egli riuscì ad essere eletto, sconfiggendo Pasquale Caso, attraverso la formazione di una coscienza di classe degli ex combattenti e di altre categorie vicine al suo sindacalismo, ( Basile Vinenzo, La Prelatura “Nullius” nella storia di Altamura del 1900, pp. 53-54 e 79-80 ed. Grafica e Stampa, Altamura giugno 2021). Il riformismo del nuovo sindaco si attuò con il gestire i servizi pubblici e le finanze comunali con un programma economico in funzione della lotta alla disoccupazione. Il Comune altamurano, il più popoloso del territorio, divenne centro di ispirazione economica per la rinascita dell’agricoltura attraverso l’innovazione tecnologica e l’irrigazione, (Cfr. Giulia Bordo, op. cit., p. 34). Con l’elezione a Consigliere Provinciale allargò la sua esperienza riformistica ai Comuni della Provincia.
Attraverso le pagine della “Gazzetta della Puglia” la sua politica fu conosciuta non solo a livello regionale, ma anche meridionale. Fu favorevole al progetto di un “Partito del Rinnovamento” per una nuova forma di democrazia: referendaria ed autonomista. Il fallimento del suo ideale politico per risolvere la questione meridionale, fu dovuto alla scarsa cultura popolare del Sud e soprattutto all’avvento del fascismo con la marcia su Roma dell’ottobre 1922. Mussolini eliminò ogni movimento democratico: PSI, PPI, PCI, Partito D’Azione, a cui aveva aderito Tommaso Fiore per il programma simile alle sue idee. La sua azione politica cambiò indirizzo verso una preparazione culturale attraverso l’insegnamento dei giovani e le pubblicazioni. Dal 1926 si trasferì a Bari senza trascurare Altamura. Professore di lettere, di latino e greco, operò nei licei di Molfetta e di Bari. La sua attività di educatore, seppure clandestina, formava le menti alla libertà di pensiero con prudenza, ma convinto che era l’unico modo di contrastare il fascismo. I contatti epistolari con altri amici antifascisti, Salvemini, Gobetti, Monti, lo sollecitarono a scrivere alcuni articoli, raccolti in:“ Lettere pugliesi”, che raccontano la situazione precaria della Puglia, che egli osserva viaggiando per molti paesi. Il documento, intitolato poi “Un popolo di formiche”, resta un prezioso scritto della realtà del meridione al tempo del fascismo. Il testo vinse il premio Viareggio nel 1952 proposto dalla Libreria Laterza. Seguiranno sullo stesso stile “Il cafone al’inferno” sulla condizione del lavoro nel Tavoliere, simbolo della schiavitù dei braccianti del meridione; nel 1961 “I formiconi di Puglia” sulla vita culturale del 1900 fino al 1943. Dopo la caduta del fascismo dal 1944 al 1946 assume l’incarico di Provveditore agli Studi per la Provincia di Bari. La sua opera letteraria continua con l’insegnamento di Letteratura latina all’Università barese sino al 1953. I tanti riconoscimenti alla sua personalità furono dovuti al politico, che durante il fascismo subì il confino a Ventotene e in altri posti, poi il carcere a Turi. Fu considerata anche la sofferenza per l’uccisione del giovane figlio Graziano, mentre gli altri due erano incarcerati con lui a Bari. La sua partecipazione attiva al Comitato di Liberazione Nazionale, tenuto a Bari da personaggi politici dell’Italia, fu stimata per il suo intervento da socialista democratico.
Vincenzo Basile