u furrerə il fabbro
Il fabbro, u furrerə, per la varietà di oggetti che faceva, può essere considerato per alcuni versi un vero e proprio artista. Lui non assemblava niente, gli bastava un pezzo di ferro e ti creava ciò che volevi. Era espertissimo nel costruire serrature per porte, la nzərrinə, saliscendi, u selə e scinnə, ferri di chiusura per le porte, u furrettə, fermaporte, u spondapetə, cerniere per porte, i sckangrə; faceva anche piccoli oggetti per la cucina: la radimadia, la rasaulə e la rasulecchjə (più piccola), il tripode, u trupuetə, lo spegnifuoco*, u stutafuechə, la fornacetta*, la furnaceddə, la paletta, la palettə, il palettino*, u pualəttinə, bracieri in ferro, la frascerə. Era esperto anche nel fare i tanti oggetti usati dai contadini in campagna: la zappa e la zappetta, la zappə e la zappoddə, il piccone, u zappàunə, vari tipi di aratro, l’aretə, l’erpice, u scuervə, il rullo trebbiatore, u diaulottə, varie parti del carro agricolo e così via.
Il fabbro era anche maniscalco: egli infatti ferrava gli zoccoli dei quadrupedi. Questa era un’operazione tipica e caratteristica di quando l’unico mezzo di locomozione per la campagna era il carro: la sera o la mattina presto si vedevano file di carri davanti alla bottega in attesa che il maniscalco ferrasse il proprio mulo o cavallo. Il ferro, u fuirrə, veniva posto nella fucina, la forgə, dove ardeva una massa di carbon fossile il cui fuoco era alimentato da un mantice, u muàcənə; una volta che il ferro diveniva incandescente, veniva tolto dal fuoco con una tenaglia dai manici lunghi, la tənàgghjə, e battuto col martello, u muartiddə, o con la mazza, la mazzə, sull’incudine, la ngutənə, con dei colpi ritmati che conferivano al ferro la forma voluta. I ferri venivano poi fissati ai piedi dell’animale con dei chiodi adatti, i chjevə, e con un martello particolare. Se lo zoccolo era rovinato il fabbro provvedeva a livellare l’unghia con un arnese molto tagliente, la roglia* la rògljə, a limarla con la raspa, la raspə, e a pulirla con un coltello particolare, u curtiddə pə l’ognə.
A proposito del maniscalco, c’è un simpatico aneddoto del passato. Un contadino si era rivolto alla farmacia per farsi ferrare il mulo. Il farmacista specificò a lui che la sua era la ” spəciarì” non la ” fərrarì“. Ma il contadino non conoscendo bene il significato e la differenza dei termini replicava: ” O spəciarì o fərrarì, fìrrəmə u ciuccə ca mə n’agghia ggì”.
Il fabbro era anche un artista del ferro perché faceva ringhiere e balconate in ferro battuto; infatti il nostro centro storico è pieno di balconate che dimostrano quanta maestria e quanta passione artistica il fabbro poneva nel suo lavoro. A volte faceva anche il picchiotto, u tuzzulicchjə, oggetto di ferro a forma di mano fissato alle porte o portoni e usato per bussare. Questo mestiere esiste ancora, anche se gli attrezzi usati sono più avanzati tecnologicamente
La ngutənə l’incudine, usato per modellare a caldo ed a freddo oggetti in ferro
L’aretə l’aratro; ce n’erano di diversi tipi (vedi contadino)
U fuirrə Il ferro; pezzo di ferro applicato con chiodi (i chjevə) alle zampe del cavallo o mulo
I firrə pə fərrè gli attrezzi per ferrare
A fərrè a ferrare, il maniscalco mentre ferra il cavallo
ETIMOLOGIE ALTAMURANE (Lettera C)
caddә (u) callo [dal latino callum]. Plur caddrә. •Fè i caddrә ngulә, fare i calli al sedere a forza di star seduto a far niente. Vedi lupinә.
cafuèrchjә (u) tana di animali [dal latino fovea] e per traslato, catapecchia. •Paureddә, jàutә nda nu cafuerchjә ca manghә s’affittә addau mittә i pitә! Poverella, abita in una catapecchia scura, dove non si vede neanche dove mettere i piedi! Vedi fòrchjә.
calacimә (la) caldana [dal latino calidus e facio, rendo caldo]: sensazione improvvisa di caldo sul corpo e sul viso, provocata da forte emozione, ira, paura, vergogna, pre-menopausa, etc.
calzettә (u) calza [dal francese chaussette]. Plur calzittә. •Sә tirә la calzettә, si tira la calza, si dà delle arie.
càmәsә (u) camice da lavoro [dall’arabo quamic].
canajàulә (la) acquolina in bocca [dal dialetto cannә, gola, trachea + jàulә, golosità]: aumento della salivazione causata dal desiderio di una cosa appetitosa.
canarilә (u) gola [dal greco kanna].•Jè legnә u canarilә, è lunga la gola (riferito a chi è attirato molto da qualcosa). Vedi canajàulә, canarùzzәlә, ngannә, ruffulerә.
cangè cambiare, scambiare [dal francese changer].
cangә (la) 1-gabbia [dal francese cage] per gli uccelli. 2-stia per custodire le galline.
canìgghjә (la) 1-crusca, cruschello [dal latino volgare canilia]: è ottenuta come residuo della macinazione dei cereali (grano, avena, orzo, etc) ed è formata dalla parte più esterna dei chicchi con un piccolo residuo di farina; mescolata con paglia bagnata è usata come alimentazione degli animali; 2-lentiggini sulla pelle. •Tenә la canìgghjә mbaccә, ha le lentiggini sul viso.
cannacchә (u) collare per cani e animali in genere [dall’arabo hannaka].
capè 1-contenere, starci [dal latino capere]. 2-scegliere.
capәssciolә (la) fettuccia, nastrino [dallo spagnolo capichola]: strisciolina di tessuto, usata per legare delle cose con un nodo.
caraffә (la) caraffa [dall’arabo garrafa]: vaso generalmente in vetro, con corpo panciuto e bocca larga, collo più stretto ed un solo manico, usata generalmente per contenere l’acqua a tavola.
carәmè stagnare, tamponare una ferita [dal latino carminare, guarire con incantesimi]: tempo fa per fermare la fuoriuscita del sangue, si serravano i labbri della ferita con un fazzoletto imbevuto di vino, si recitavano delle preghiere e si facevano dei segni di croce.
carәstìjә (la) carestia [dal latino carere, mancare, essere privo]: scarsità di generi alimentari.
carosә (la) tosatura, tosa [dal greco kurá, taglio dei capelli]: taglio a zero della lana delle pecore o del pelo dei muli e dei cavalli (ed anche dei capelli delle persone, detto per scherzo).
casscә (la) 1-cassa [dal greco kapsia]: mobile di legno per conservare biancheria varia.
castagnolә (i) castagnetta [dallo spagnolo castanuela]: schiocchi sonori ottenuti facendo scattare il dito pollice sul medio.
catapenә (u) catapano [dal greco cata, verso il basso + epano di sopra], pastrano, tabarro: cappotto particolarmente pesante e che si indossava sopra tutti gli altri vestiti.
catarattә (u) botola [dal greco katarrhàktes, caduta in basso]: piccola apertura a pavimento che mette in comunicazione un piano sovrastante con uno sottostante.
Vito Ciccimarra
Lillino Calia