Giusto un mese fa, il 5 marzo, al Teatro Mercadante abbiamo assistito a un concerto indimenticabile, culminato nella esecuzione della favola musicale Pierino e il lupo di Sergej Prokofiev. La felicissima memoria di quella serata mi suggerisce ora un accostamento con il messaggio più profondo e paradossale della Passione: analogia del tutto naturale, stante il richiamo della Settimana santa.
La favola musicale di Sergej Prokofiev è un compendio di valori universali per grandi e piccini. Ha sempre divertito i piccoli, da quando Prokofiev scrisse sia il testo che la musica nel 1936, ma riesce a risvegliare il fanciullino che è in ciascuno di noi: educazione all’ascolto ma anche invito a immaginare ponti e analogie con la memoria più o meno ricca delle esperienze vissute. Chi non pensa a Pinocchio che trova conforto nel ventre della balena grazie all’incontro con Mastro Geppetto in quella caverna della malora? O a quel Leviatano divoratore che è Moby Dick? Ecco, siamo all’avventura di Giona, l’archetipo intramontabile. Bravo Prokofiev, bis!
Il lupo cattivo (solo san Francesco riesce ad ammansirne uno) fa un sol boccone della povera anatra (che ha il difetto di non saper volare), mentre “l’uccellino volteggiava cinguettando allegramente”; morale: è fondamentale saper volare, almeno per gli uccelli…
Ma saper volare significa anche potersi ergere al di sopra della quotidianità scialba, vuota se non addirittura bécera. Pensiamoci: per la fretta e la fame “da lupo” il lupo fa un sol boccone dell’anatra disgraziata. Ecco allora la speranza che l’anatra sia ancora viva, e la speranza non muore mai: “E se qualcuno avesse ascoltato con attenzione – avverte Prokofiev – avrebbe sentito l’anatra che faceva qua-qua nella pancia del lupo”. C’è un’analogia sottile con l’avventura di Giona che, nel Vecchio Testamento, prefigura la rinascita, la salvezza, addirittura la risurrezione del Cristo. Il segno di Giona è la scelta obbligata del credente, come attesta il Vangelo di Luca (11, 29-32). Può sembrare audace l’accostamento dell’anatra a Giona, ma Prokofiev aveva figli da educare, bambini da abituare all’amore per la musica. Speriamo che nascano nuovi Prokofiev…
A quel paria diseredato d’un Lupo, poi, poteva capitar di peggio: i cacciatori lo avrebbero appassionatamente rimpinzato di pallottoloni di piombo, ma lo salva l’eroico e misericordioso Pierino accalappiandolo per la coda con una fune per poi spedirlo allo zoo (in casa di riposo) con tanto di processione bandistica, portatori del Lupo proprio i cacciatori – chiamiamoli lupofori – ormai imboniti da Pierino, il buono, il Bene che trionfa sempre.
La sera del 5 marzo, al Teatro Mercadante, il fanciullino che è in noi s’è destato eccome! La sveglia l’ha data Antonio Petrocelli, attore navigato e sensibilissimo al genere lirico e fiabesco. La presenza di tanti bambini nella sala piena zeppa è stato un ricco premio di perseveranza a Leonardo Colafelice che ha ideato i quattro concerti del Festival dell’Alta Murgia, felice ripresa dopo le cinque annate (1998-2002) del Festival d’Altamurgia.
Immedesimatosi fanciullo ancorché canuto, Petrocelli ha fatto sognare i presenti col suo affabulare accattivante. Lucano (Montalbano Jonico) trapiantato a Firenze oltre mezzo secolo fa, ha fatto tesoro del nostro bilinguismo cosciente e ha coltivato e custodito gelosamente il suo vernacolo montalbanese. Verisimilmente, egli è tra i fuorusciti privilegiati cui tocca l’onore di conservare le forme ormai arcaiche del vernacolo (chi scrive ne sa qualcosa), specie per una comunità che conta meno di settemila residenti. L’Orchestra Filarmonica Pugliese diretta con eleganza disinvolta da Giovanni Minafra (nella foto) ha mesmerizzato gli spettatori coi virtuosismi dei solisti e l’intesa perfetta con la voce narrante.
Prima di Pierino e il lupo l’orchestra ha eseguito l’Ouverture del Barbiere di Rossini, invito a rivivere le serate calde dell’agosto altamurano anni Cinquanta, grandi e piccini assiepati intorno al padiglione dei concerti bandistici che si contendevano gli applausi del pubblico grato. Lo scrivente fruiva il privilegio di un seggiolino di férula, seduto accanto a don Ciccio Stasolla precursore della nostra poesia dialettale. Sette decenni dopo ho provato le stesse sensazioni, fanciullo come i più giovani che commentavano festanti i quadri dipinti dalla musica degli strumenti e dai commenti modulati e sàpidi (talvolta conditi di montalbanese) del narratore
Piena soddisfazione e i conseguenti applausi scroscianti hanno accolto anche l’esibizione del primo clarinetto, il virtuoso molfettese Giacomo Piepoli, che ha conquistato tutti, incluso l’ottuagenario scettico alle melodie che mi sedeva accanto, con una strepitosa reductio ad unum, il brano per clarinetto (smontabile) Immer kleiner di Adolf Schreiner. Serata indimenticabile da ripetere, dunque, in piena atmosfera di festa popolare, senza barriere di età, in cui aleggiava lo spirito assolutamente compiaciuto di Sergej Prokofiev.
Torniamo ora al messaggio appena velato della fiaba, alla luce del racconto esemplare del profeta-suo-malgrado, il protagonista riluttante di nome Giona. E qui sarà bene ricordare che quel nome è trascrizione dell’ebraico Yonah, che significa “colomba”: vi faccio grazia dei facili rimandi alle colombe dolciarie e a Nilla Pizzi… ma è di tutta evidenza che la pace non è di moda nei giorni nostri, alla faccia dello sdegno civile e del richiamo accorato del Petrarca. Rileggetevi Italia mia… (RVF 128) per sentire la vicinanza spirituale del Petrarca e constatare gli anni luce che stiamo forzando tra noi e il suo anelito di pace.
Nel segno di Giona (Mt 12, 38-41) Gesù ci invita a rinascere. E lo fa con una sferzata che serve a scuotere il cuore sordido di chi si rifiuta di vedere e credere nel segno paradossale del profeta Giona. Il Signore gli ordina di predicare agli Assiri di Nìnive, cioè ai nemici di Israele, e Giona ciurla nel manico, preferirebbe una vacanza in Aspromonte; persino il profeta non si rende conto della misericordia di Dio che perdona il ninivita esattamente come perdona l’israelita. Giona si ravvede: profetizza, testimonia, ma all’inizio non viene creduto; nessuno è profeta in casa propria, figuriamoci in casa altrui! Eppure il segno di Giona è lampante, inequivocabile: viene inghiottito intero dal pesce enorme e resta nelle tenebre del suo ventre per tre giorni e tre notti, quindi viene rigurgitato, espulso sulla spiaggia, alla luce, risorge. Tutto secondo il piano provvidenziale del Signore: E il Signore parlò al pesce ed esso rigettò Giona sulla spiaggia. (Giona, 2, 11). Si tratta della prefigurazione inconfondibile della passione, morte e resurrezione di Cristo, segno che fa luce sulla storia e proietta la verità fino a noi.
La verità, figlia della Luce, ci illumina e ci eleva ad un piano superiore di conoscenza. E la Luce emana dalla Croce: Lux in Cruce, gaudium in Cruce, requies in Cruce.E dal legno della Croce nasce la Cattedra del Divino Maestro. Solo da quella Cattedra – ammonisce Agostino – impareremo a superare i limiti della ragione umana per coniugarli con l’Amore del Padre. Auguri!
Giuseppe Bolognese