Il percorso storico di ben 80 anni che vado a raccontare è stato ispirato dalla lettura di un interessante documento elaborato dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro e pubblicato a fine agosto 2025 dal quotidiano economico “Sole 24 ore” dal titolo: “Partecipazione e crescita delle imprese del mondo del lavoro in Italia a partire dal dopoguerra ad oggi”. Sono stato colpito in modo particolare dall’intelligente trattazione dedicata alla coincidenza storica di due eventi importanti alla edificazione delle fondamenta dell’Italia Repubblicana: -Le vie della Rinascita Economica; -Il manifesto del codice di Camaldoli del 1943, ad Arezzo, relativo all’attuazione della Dottrina Sociale della Chiesa, redatto da 30 Giovani Cattolici esperti di scienze sociali. Mi soffermo in modo specifico sul secondo “manifesto” per la valenza culturale sociale delle idee in esso contenute e che riguardano: -la dignità della persona e del suo primato rispetto allo Stato; -l’indispensabile affermazione del ruolo dei corpi intermedi; -la necessità del sistema Democratico; -il ruolo della politica, come garante e promotore della giustizia sociale e dell’eguaglianza. Idee e principi che hanno incontrato altre dottrine protagoniste della vita culturale italiana e sono diventate le basi della Costituzione Italiana. Perciò è doveroso ricordare i grandi Pensatori Politici di quel tempo da Dossetti a Toniolo, da De Gasperi a Lapira, da Fanfani a Moro che hanno interpretato e rappresentato l’orgoglio cattolico e attuato la Dottrina Sociale della Chiesa. Senza dimenticare lo straordinario contributo e impegno del mondo laico; dai liberali ai socialisti, dai repubblicani ai comunisti. Tutti impegnati a scrivere la Carta Costituzionale fatta di bene comune, di giustizia, di solidarietà, di sussidiarietà, di libertà e soprattutto di democrazia.

Entrando nel merito evidenzio la parte della quarta sezione del “manifesto” del codice di Camaldoli dedicata al lavoro, dove viene ribadito in modo originale, un proposito valido allora come oggi che riporto integralmente: “Occorrono interventi diretti a consentire al lavoratore di partecipare effettivamente ed attivamente, attraverso appropriati istituti, alla formulazione delle condizioni di lavoro e alla determinazione dei criteri di retribuzione”. Risuonano le parole scritte oltre 50 anni prima da Papa Leone XIII nella nota Enciclica Sociale “Rerum Novarum” del 1893 che dicono: “Né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale” e che trovarono la loro attuazione nell’articolo 46 della nostra “Carta Costituzionale” su proposta sottoscritta dagli onorevoli Gronchi, Fanfani e Pastore ed approvata in assemblea costituente all’umanità. La formulazione utilizzata dagli autori è la seguente:

“Ai fini dell’elevazione economica e sociale del lavoro ed in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende”. In questa breve sintesi storica non può mancare il richiamo al popolarismo cattolico contenuto nel “Manifesto- Appello” ai Liberi e Forti di Don Luigi Struzzo del 1919 prima del ventennio fascista. Appello che viene, 25 ann dopo, raccolto dai 30 Giovani Cattolici esperti in scienze sociali, coordinati, in particolare dal saggio Alcide De Gasperi che individuarono una terza via tra i due Poli che nel 1943 vedeva fronteggiassi in una guerra fredda: “il liberismo anglosassone e il dirigismo sovietico di Stato”.

Si fa strada con qualche difficoltà l’Illuminismo Europeo e il rischio sempre presente in ogni epoca di una autocrazia guidata da interessi privati. In unItalia che cercava di reinventarsi dopo le macerie della seconda guerra mondiale, con profonde ferite economiche, politiche e sociali che vanno dalla disuguaglianza sociale al divario Nord-Sud, sempre più ampio, al ruolo della donna che cambia molto lentamente. Questi 80 anni di storia Repubblicana ci lasciano una preziosa eredità da difendere. Purtroppo viviamo in un spaesamento etico e politico, dove passato e futuro non hanno più senso. Siamo entrati in un’epoca nuova. Gli italiani hanno visto allungarsi la loro vita di quasi 20 anni e aumentare il loro benessere e la loro ricchezza. L’Italia è diventata la quinta economia Mondiale esportatrice di merci e soprattutto il beneficio dell’assenza di eventi bellici in contrasto con il periodo della prima metà del secolo (1914-1945) ed uno sviluppo che ha puntato ad affiancare il mito liberatorio quello egualitario. Il Novecento è ancora, purtroppo, soggetto all’imperialismo (americani, russi, cinesi) e al colonialismo e nazionalismo ancora imperanti ed irrinunciabili dell’epoca. Eppure qualcosa di nuovo si annuncia, di fronte ai massacri di Gaza, alla guerra in Ucraina, alla fame e alla carestia usata come arma di guerra; I giovani, nativi digitali, che hanno manifestato nelle piazze del mondo in Occidente, che non hanno conosciuto il dramma del Novecento appartengono ad una nuova cultura che abbatte confini e territori; sono la nostra speranza. Il Presente va visto come redenzione e il futuro come salvezza fatto di giustizia sociale sulla terra.
Vado a concludere facendo mie le parole pronunciate il 18 aprile del 1948 da Alcide De Gasperi che anche oggi sono di grande attualità: “Rimediare in ogni tempo alla sperequazione, alle ricchezze, alla insopportabile ingiustizia sociale, alla incuria nel combattere la miseria e ad ogni espressione di politica egoista che hanno caratterizzato le classi dirigenti”. In una parola il Futuro della nostra Democrazia dipende dalla capacità di passare dal modello Novecentesco a quello partecipativo dei cittadini, protagonisti unici. La posta in gioco è altissima; riguarda il futuro dell’impresa e del lavoro e della libertà di noi tutti, impegnandoci seriamente.
Pietro Pepe
