Quanta fatica, quanto lavoro dietro la produzione di un semplice oggetto quale può essere un cestino portapane, o una borsa dalle forme più disparate. Ben invece lo sanno i maestri dell’arte della cesteria. Tra coloro che hanno praticato questa attività per anni, vogliamo oggi qui ricordare la figura di Vincenzo CARLONE il maggiore dei maschi della sua famiglia, ed il cui motto possiamo sintetizzarlo in queste sue stesse parole: “nulla non fanno gli irrisoluti e i lenti che si lasciano portare da tutti venti”. Discendente del gran maestro cestaio Nonno Luigi, scomparso all’età di ben 102 anni, che aveva conosciuto le difficoltà del restare orfano sin dalla tenera età di cinque anni e che, tra i 7 e gli 8 anni, ha iniziato quasi per gioco “l’arte dell’intreccio”, attività che lo avrebbe accompagnato fino alla soglia dei suoi invidiabili cent’anni, armeggiando canne, vimini e paglia, con mani callose ma ancora sufficientemente abili. Codesta modesta arte che, in tempo di guerra veniva praticata da tanti, anche per la facilità di reperimento della materia prima, Luigi utilizzò come sua unica fonte di sostentamento familiare, divenendo per la melodiosa nenia dei materiali adoperati anche il suo naturale amore che, col passar del tempo, rappresentò la colonna sonora della sua intera esistenza evitandogli di migrare. Ma come ogni forma d’Arte che si conosca anche quella del cestaio chiede un passaggio del testimone che quando c’è è da ritenersi una fortuna, quando manca è davvero una terribile sventura per tutti.

Neppure lontanamente Luigi poté immaginare, pensando a suo figlio Vincenzo come suo diretto successore, quello che sarebbe riuscito a confezionare. Fu così che per Vincenzo, un tragico evento, la perdita dell’adorata figlia Giuliana – come per Luigi lo era stato la morte in guerra del padre – a riportarlo sui suoi passi, un modo direi alquanto balordo che però, di fatto, gli consentirà di riscoprire, proprio in quella modesta arte, un motivo per poter continuare a vivere e poterne mantenere per sempre viva la loro memoria con genialità e fantasia, in cui le sue mani divengono strumenti di vita eterna. A tutto ciò si aggiunga l’amore coniugale di Francesca che dura da più di 50 anni di vita condivisa, oltre ad incoraggiarlo, sostenerlo e seguirlo ovunque vada, gli consentirà financo di varcare confini nazionali e sovranazionali attraverso la realizzazione di vere e proprie opere d’arte pregiate. Possiamo ritenere il suo legame Uomo-Terra indissolubile in un’ottica di grande sostenibilità che ha permesso di creare intrecci così virtuosi che agevolano il poter riconsiderare e meglio valorizzare luoghi e persone difendendone le proprie specificità. Questa resta la loro grande eredità in cui né fame né miseria hanno potuto contro fantasia, immaginazione e speranza in una vita migliore da conoscere, tutelare e proteggere sempre e ovunque.
Avelluto Rosaria