Come si fa ad entrare nella testa di questi nostri ragazzi che, a prima vista, crediamo di conoscere e poi improvvisamente scopriamo, molto poco lucidamente, che sono altro da ciò che credevamo. La loro crescita non di rado si fa tormentata giacché complessivamente non riescono a sentirsi in armonia con i plurimi contesti in cui si trovano inclusi. Fiacca e afflizioni sono in bilico in un già precario equilibrio. L’O.M.S. evidenzia che il 75% di patologie insorge tra i 14 e 25 anni e, fra le sue manifestazioni segnaliamo ansia, depressione e disturbi comportamentali. A. Bilbao neuropsicologo e psicoterapeuta spagnolo, nel suo recente volume pubblicato da Salani, “Come funziona il cervello di un adolescente” attribuisce il loro scontento e la loro titubanza in gran parte all’utilizzo pervasivo dei dispositivi elettronici poiché, a parer suo, condizionano il loro benessere mentale. Caldeggia l’idea che essi destinano troppe ore dipendenti dai social network (tema caldo per Crepet che li definisce un inganno), i loro modelli hanno stili di vita spesso inarrivabili e generano avvilimento. Si scandaglia la loro capacità di saper discernere la felicità, e se i genitori conferiscano il giusto peso a ciò che li rende gioiosi. Fissare nuove regole dialogiche non solo in famiglia è ancora possibile coi nostri adolescenti? O è una scommessa già persa ab origine? La penuria di freni, divieti crea traumi. Eppure proprio vincoli e norme adoperati in misura prudente e funzionale sono quanto di più salvifico. Siamo interpellati a costruire legami fondati sulla condivisione di spazi e attività e, al tempo stesso creare punti di incontro-confronto in quanto aiutano a conoscere più adeguatamente le persone e ad affrontare questioni in modo più appropriato. Crepet invita i più giovani a sapersi rialzare da soli evitando il ricorso a psicologi e alla medicalizzazione; dichiara che l’iperprotettività dei genitori li rende “molli” e li priva di quelle autonomie necessarie che consentono di svilupparsi in forme armoniche. Pregevole la sua frase “troppa biada ammala i cavalli” ogni eccesso ammala. Ravvisa una carenza di figure autorevoli e che, in tanti abdicano al loro ruolo educativo; il riconoscimento dell’altro nasce dal rispetto. Per qualsiasi scopo s’intende inseguire conviene dimostrare di esserne capaci. È necessario riaffermare continuamente il concetto che la scuola e l’educazione sono fondamentali nella crescita di ciascuno di noi, e un doveroso riconoscimento economico a queste professioni, non guasta. Dove sono finite le emozioni svendute dalla tecnologia che immette in un mondo virtuale freddo, in cui scompaiono gesti che riportano a cortesia gentilezza e che, al contrario, spingono a gesti insulsi, brutali e parecchio aggressivi; le nefandezze sono ordinarie, la cronaca è colma di fatti che richiamano a questo malessere. Oltre un ventennio fa nel suo libro “Non siamo capaci di ascoltarli” lo stesso Crepet denunciava la crisi dei modelli educativi, ed oggi, proprio quelli a cui si rivolgeva si ritrovano ad essere genitori tra i peggiori della storia, dice. Spesso in competizione coi loro figli, giovani anestetizzati dalla comodità, abituati a pretendere senza comprendere. Ritroviamo il genitore amico invece di guida, genitori pop fra gli adolescenti, delega in bianco alla tecnologia: chiedi a ChapGPT cerca su Google, invece che offrire spazi per un dialogo costruttivo e aperto a una pluralità di risposte. Le ripercussioni nelle aule scolastiche dietro un voto negativo ragazzi insicuri, maggiori conflitti genitori insegnanti, vacatio valoriale, responsabilità e regole invertite. L’autorità non è oppressione, ma cura, ripete Crepet. Bisogna creare ambienti di per sé inclusivi in cui ciascuno possa sentirsi valorizzato e riconosciuto, migliorare la qualità nelle relazioni educative sarebbe già un bel traguardo. Vi siete già interrogati sulla medesima questione? Quali sono state le risposte fornite ai medesimi interrogativi?
Rosaria Avelluto