Nel programma di Cultura Politica del corrente anno scolastico, su richiesta dei corsisti dell’Università della 3 Età mi sono soffermato in modo sintetico a raccontare la mia esperienza sulla “difficile” Arte di invecchiare, argomento che potrebbe apparire non proprio di natura Politica, ma di grande rilievo sociale.
Qualche giorno fa, mentre sorseggiavo il mio solito caffè, ho incontrato al bar un amico di nome Giovanni che mi ha rivolto un elogio e che mi ha fatto piacere, dandomi del “saggio” per il modo con cui sto affrontando la mia vecchiaia. Ho solo detto una ovvietà, che provo a sintetizzare:
Quando si raggiunge una certa età, a prescindere dai Ruoli Sociali ricoperti è opportuno e, forse doveroso, “mettersi da parte” per gustare la vita di questa stagione: la Terza Età. La Terza Età è la fase avanzata della vita caratterizzata dal decadimento di molte funzioni, che inizia ai 60 anni per l’Uomo e 55 per le Donne.
C’è chi lo fa con un po’ di amarezza, c’è chi all’opposto prova in modo ridicolo ad imitare i Giovani e c’è chi, infine, invecchia con un sentimento di intimo piacere stabilendo una feconda continuità esperienziale fra ciò che era e ciò che è, ma soprattutto nel mio caso di credente un sentimento di sincera gratitudine verso il “PADRE ETERNO”. Ho trovato conforto nella definizione che la Bibbia fa della parola “Sapiente” non tanto nel senso della (conoscenza) ma nel senso “Latino” del termine “sapere” cioè: “gustare, assaporare”. Si può, dunque, considerare saggio quella persona che si ritrova in armonia con sé stesso e che sa assaporare la vita in ogni stagione: dall’adolescenza, alla giovinezza, alla vecchiaia. A mio avviso, la saggezza della 3°Età è custodita nella visione unificante, o vorrei dire globale dell’esistenza umana.
Infatti chi ha la fortuna di diventare anziano e non è per tutti, può ricomporre in unità gli aspetti, anche i più contraddittori, perché a sue spese ha capito la vita umana con i suoi momenti difficili tanto da apparire complesso e persino insostenibile. In realtà è il risultato di un tessuto inestricabile di prove. Mi piace paragonare la vita umana ad un arazzo dove gli umani sono l’ordito, gli angeli la trama e Dio il tessitore. Per questo si è veramente saggi, se il vecchio ha saputo vivere con la dovuta tensione evolutiva ed è stato capace di guardare con sereno distacco la globalità della sua vita e di accettarla come tale. Il discernimento è la scelta messa a disposizione dell’anziano, che può muoversi fra le due umane alternative: lasciarsi andare ad una vita oziosa oppure continuare a vivere alla luce di ciò che ha dato senso alla sua esistenza. Attingendo alla fonte delle mie modeste reminiscenze scolastiche è possibile fare riferimento al poeta latino Orazio con il suo “carpe diem”, cioè cogliere l’attimo vivendo alla giornata e lo storico Seneca che invita a vivere in tensione continua e a non demordere mai. Decisamente sono con Seneca per la semplice ragione di voler rimanere identico a me stesso, fino alla fine dei miei giorni. “La morte quando verrà dovrà trovarmi a lavoro”. Dunque essere “abitatori del tempo” che ci viene assegnato, aiutati a farlo dall’indispensabile impegno civile della cultura e della letteratura e della fede per i credenti. Mi viene in soccorso a tal proposito, uno dei versi dell’Eneide, che vale la pena di rileggere di tanto in tanto e non solo a scuola; Enea è in viaggio con La sua flotta verso l’Italia in fuga dalla Troia, la sua città distrutta dai Greci. La Dea Giunone, nemica dei Troiani, affida ad Eolo il compito di affondare la flotta di
Enea, scatenando una terribile tempesta. Solo l’intervento di Nettuno riesce a placarlo ed Enea e i suoi compagni superstiti approdano sulle coste dell’Africa. Tutto sembra perduto, ma così no è. Nello smarrimento generale il generale Enea offre ai compagni uno squarcio di speranza, ricorda loro le difficoltà superate e il loro vissuto con un invito a farsi coraggio dicendo ai suoi “forse un giorno sarà bello ricordare anche queste cose”. Questi versi a mio giudizio dovrebbero essere sempre presenti nel lavoro, in ufficio, in classe e nella società anche per ostacolare la malattia sociale da cui tutti siamo affetti e possono rivelarsi un antidoto alla fretta moderna. È la poesia della pazienza e del tempo che ci vuole, dello stare con sé stessi e della voglia di futuro. In conclusione mi sento di dire che rimpossessarsi del proprio tempo oggi è un’azione eroica e da questi elementi che ho ritenuto di scrivere l’elogio alla vecchiaia, con la consapevole preoccupazione non tanto di dare anni alla Vita, ma di dare Vita agli anni.
È questo l’augurio sincero e affettuoso che rivolgo a tutti i miei colleghi anziani.
Pietro Pepe