La SOGIN ha deciso il deposito unico nazionale per sotterrare le scorie radioattive. Ha ridotto i siti da 67 a 51 senza motivarlo. Il Coordinamento NO SCORIE di Puglia e Basilicata si attiva a mobilitare le comunità.I termini per l’auto candidatura sono scaduti. L’unico comune che ha aderito e’ Tino Vercellese: pare voglia riaprire i termini
La Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari) che ha programmato e gestisce il progetto, va avanti spedita sul deposito unico nazionale sottoterra e non più sopraelevato, nonostante le migliaia di pagine di osservazioni da parte di Comuni, associazioni e altri enti dove sono stati previsti i siti.Dopo aver terminato l’iter deve decidere dove allocare il deposito unico e lo farà d’imperio. La storia. Una vicenda che ha inizio nel 1999 e si arriva al punto di oggi dalla prima pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) pubblicata il 6 gennaio ‘21. Furono concessi tempi brevissimi, prima 6 mesi poi 280 giorni per le osservazioni, che il “Coordinamento assemblea NO SCORIE di Puglia e Basilicata” ha presentato, entrando nel merito sull’aspetto giuridico, su quello del territorio, presentando delle mappe aggiornate e con il contributo di esperti in materia di scorie. Poi sono state depositate le osservazioni delle Regioni Puglia e Basilicata e dei Comuni interessati dai siti. La consultazione avvenne online con un’iniziativa che fu definita “seminario nazionale”, con il grosso limite di non poter accedere agli atti e senza la possibilità di verificare quanto scritto nelle osservazioni sui territori interessati ai siti. L’altro grosso limite era rappresentato da mappe in PDF non geo referenziate. A dicembre scorso viene pubblicata la nuova carta delle aree nazionali idonee(CNAI) e sulla base del “seminario nazionale” i siti da 67 sono diventati 51. La cancellazione di 16 siti non è motivata. Un decreto dello scorso anno stabilisce che il deposito unico nazionale può essere localizzato e realizzato anche su aree non comprese sulla CNAI. La più grossa contraddizione è rappresentata dal ruolo della Sogin, la quale oltre a realizzare, gestisce il sito, valuta le osservazioni, assumendo un ruolo doppio di controllore e controllata. Inoltre fa la Valutazione ambientale strategica (VAS) e la fa a monte, ovvero prima di procedere alla individuazione delle aree idonee. Questa illegalità palese è stata evidenziata nelle osservazioni. La fase attuale, già scaduta, (forse riaprono i termini), è rappresentata dalla possibilità di alcuni Comuni di autocandidarsi Unico a farlo è stato quello di Trino Vercellese dove c’è una delle 4 centrali italiane da smantellare e dalla scelta del Ministero di individuare anche aree militari. Ai Comuni che scelgono di candidarsi viene assegnato un fondo di 30 milioni l’anno, con l’impegno a dare occupazione a 700 unità e a costruire accanto al deposito un parco tecnologico. Certo che i dubbi sono tanti, come ci sono tanti altri centri di ricerca nel nostro paese che non vengono finanziati e tantomeno sostenuti. A gennaio del 2021 la Sogin indicava di costruire un deposito unico di scorie in sopraelevazione, di 10 metri di altezza e 10 di profondità, della grandezza di 5 campi di calcio in cui allocare tutte le scorie di prima, seconda e terza categoria. Il 13 ottobre scorso viene consegnata alla Sogin e all’ISIN (Ispettorato nazionale per la sicurezza nazionale) – altro ente che gestisce questo processo – la risultanza di un organismo internazionale, denominato Mission Artemis, formato da sei esperti americani e tre italiani, che indica che le scorie debbano essere conservate sotto terra. Una scelta contraddittoria, inaspettata e di palese illegalità, che inficia le osservazioni che sono state presentate. In Italia sono 22 i siti in cui sono allocate le scorie, 150 mila metri cubi, di cui 17 mila sono altamente radioattivi e sono tenuti in uno stato altamente precario. I due più vicini a noi sono quello di Statte (TA) e quello dell’ITREC di Rotondella (MT). Nel primo sono depositati decine di bidoni altamente radioattivi, da diversi anni. Solo a settembre dello scorso anno sono arrivati fondi per la messa in sicurezza e trasferirli, un processo che dura da anni e non sappiamo quando finirà. Altra cosa dicasi sul secondo deposito di Rotondella in cui sono allocate le barre di plutonio di proprietà americana (su youtube altramurgia si trovano servizi che fanno la storia del sito). Sono stati costruiti due cash (si chiamano così i contenitori) all’estero per contenere le barre e sono stati spesi 10 milioni. Ad oggi nessuno sa quando quelle barre torneranno in America. Le aree indicate nel nostro territorio erano 17 e con la nuova carta sono state ridotte a 14. Tra Puglia e Basilicata le aree indicate sono tutte omogenee dal punto di vista geologico e morfologico e non è motivata la riduzione.
La riduzione attuale dei siti a livello nazionale e territoriale non è chiara perché non è motivata; la costruzione di un deposito unico è impraticabile per le difficoltà di trasportare 150 mila metri cubi di materiale radioattivo da un punto all’altro del paese. Poi nessun paese al mondo fino ad ora ha mai fatto tale scelta; non c’è dibattito, l’informazione è molto limitata, i proprietari dei terreni dove sono stati individuati i siti sono totalmente all’oscuro; la scelta prima di un deposito in sopra elevazione e successivamente interrato va ad inficiare tutte le osservazioni e a stravolgere tutto il progetto su cui è stata realizzata la CNAI, in quanto molti terreni, a partire dal nostro territorio, sono molto fragili dal punto di vista geomorfologico. La Sogin non lo ha visionato, non ha, dunque, conoscenza del nostro territorio; si è basata su documenti e carte geografiche vecchissime. La cosa è stata evidenziata anche dall’associazione dei geologi. E per venire alle proposte:siamo concordi nel dire che noi rifiutiamo la proposta “meglio nel giardino del vicino” perché coscienti che in qualsiasi sito si collocherà i problemi saranno gli stessi perchél’Italiainteraè fragile(frane, terremoti ecc) quindi pensare a una soluzione geologica sicura oggi non è possibile; avevamo evidenziato di realizzare 3 diversi depositi dove allocare quelli di 1^ categoria, di 2^ e di 3^, separati, distinti magari più vicini alle centrali. Dal momento che hanno scelto quei luoghi per costruire una centrale, ora quei luoghi potrebbero essere più idonei ad ospitare le scorie; certo le scorie vanno messe in sicurezza, ma in nostro territorio non è adatto per interrarle, per la sua natura geomorfologica fatta di calcarenite. Su queste contraddizioni e sulle proposte, il “Coordinamento no scorie di Puglia e Basilicata” si sta attivando per organizzare incontri con le comunità del territorio, per arrivare a realizzare una manifestazione più ampia e partecipata. Alcuni giorni fa i Comuni di Altamura, di Gravina e Matera, le due Regioni interessate Puglia e Basilicata, hanno detto no alle scorie nel proprio territorio.
A modo di appendice! La SOGIN nasce a marzo del 1999 con il governo Dalema, ma sotto la regia del governo precedente Prodi, con l’obiettivo di realizzare il progetto proposto dal ministro Bersani nel dicembre dello stesso anno, di “smantellamento accelerato” delle 4 centrali, inattive da anni, presenti nel nostro paese. Era un ramo dell’ENEL. Il centrosinistra collocò in borsa l’ENEL, ma per renderla più attrattiva dagli investitori, la scorporò dalla SOGIN che, occupandosi di smantellamento, costituiva un costo piuttosto ingombrante e quindi un ramo secco da tagliare.Le conseguenze le stiamo pagando noi cittadini: infatti sulla nostra bolletta esiste una voce “oneri di sistema”. Interessante il fatto che l’ENEL dopo 6 mesi sia rientrata prepotentemente nel settore nucleare acquistando nel 2005 l’azienda elettrica Slovacchia SE e partecipando al progetto delle nuove centrali francesi EPR (quello che un tempo era un ramo secco ora si presenta come redditizio e di sviluppo).La SOGIN oggi è una Spa pubblica, conosciuta per gli sperperi: fino ad ora ha speso 1 miliardo e 200 milioni, a fronte del 30% dei lavori fatti. Non ha smantellato, infatti, nessuna delle 4 centrali; per i progetti iniziati e poi abortiti; per le assunzioni clientelari (ha 600 dipendenti); per gli alti stipendi dei manager, dei quali qualcuno è finito sotto inchiesta per mancata trasparenza.
Michele Lospalluto