u furnerə il fornaio
Il mestiere del fornaio, u furnerə,non è completamente scomparso: i forni ci sono ancora e i fornai anche. Quello che è importante notare è il modo completamente diverso di cuocere il pane: l’antico forno a legna è stato sostituito dall’attuale forno a vapore, anche se ad Altamura ci sono ancora tanti forni a legna.
I forni, i furnə, di una volta erano tutti a legna ed erano ubicati nei vari quartieri a piano terra o in seminterrato. Nel locale, vicino alla bocca del forno, la uocchə du furnə, vi erano le pale, la pelə, i marchi di ferro o di legno con le iniziali delle famiglie, i merchə, ben allineati sul muro, una vaschetta di pietra, la pəleddə, piena di acqua nella quale si inumidiva uno straccio, u mulnə, necessario per pulire il piano di cottura del forno, tante asse di legno, i taulə du puenə, a castelletto sulle quali venivano poggiate le pagnotte prima e dopo la cottura, poi tante teglie, i firrə, in lamiera di latta imbrunita che il fornaio dava alle sue clienti affinché potessero allinearvi i dolci fatti in casa nel periodo pasquale e natalizio in particolare, e infine un rastrello di legno senza denti, u rataviddə, che serviva per ammassare il fuoco da una parte per lasciare il posto al pane da cuocere.
Come si può dedurre, il pane era preparato in casa. La donna, che aveva conservato un pezzo di lievito madre dall’ultimo impasto, u luetə,in un piccolocontenitore di creta, u capasiddə pu luetə, la sera prima del giorno dell’impasto, diluiva il lievito in una coppa di creta più grande, u cuandariddə, con acqua e farina. La mattina lo si trovava acido e gonfio. La donna poneva la spianatoia, u taulirrə, su due sedie e su di esso versava una certa quantità di farina e la disponeva in modo tale da creare una conca in cui versava il lievito (dopo aver tirato un pezzo che conservava nell’apposito contenitore per l’impasto successivo), l’acqua tiepida e il sale necessario. A questo punto iniziava ad impastare, a trumbuè, in modo lento ma costante, sino a quando il tutto si amalgamava in una grande massa morbida ed elastica. Dopo la lavorazione la massa di pasta veniva racchiusa in un panno bianco, avvolta in una coperta di lana perché lievitasse, pə ndrəvè e deposta, il più delle volte, sul letto di casa.
Tutto ciò avveniva verso l’aurora. All’alba il fornaio iniziava il giro del suo rione, si fermava ai crocevia e con urlo tenorile segnalava la sua presenza dicendo il forno di sua appartenenza e si rivolgeva alle sue clienti con questa tipica domanda:“Cumma Marijə, cumma Rusinə avitə trumbuetə stanottə? Vulitə mburnè o primə o au səcondə furnə?” La donna confermava se voleva infornare con la prima o con la seconda infornata e quanti pezzi doveva impastare. Di solito quando la massaia tagliava la pasta per fare i panetti con la radimadia, la rasaulə, dalla stessapasta, prima di darla al fornaio, tagliava un pezzo di pasta e faceva u puccəlatiddə, una focaccia senz’olio e cotta alla brace.
Il fornaio tornava al forno e lui o sua moglie annotava il nome dei clienti che avevano segnalato l’intenzione di impastare; è caratteristico che questa annotazione era fatta su un quaderno e scritta in vernacolo usando il soprannome e non il cognome, ‘Cartuccə’, Culə də chiummə’, Pisscianderrə’ ecc; a quei tempi ci si conosceva per soprannome e non per nome e cognome! All’ora convenuta il fornaio si presentava a casa della cliente con la tavola sulla quale venivano allineate le pagnotte di pasta cruda del peso minimo di 2 chili, u minzə sckanetə/u panəttuddə, e massimo di 4 chili, u sckanetə/u puanettə. Caricava la tavola col pane ( peso circa 30 chili, a volte molto di più) sulle spalle e raggiungeva il forno dove le pagnotte venivano timbrate col marchio di famiglia e infornate. Era consuetudine regalare al fornaio un pezzo di pasta di circa 200 grammi, u cəcì; questi pezzi venivano assemblati e il pane era portato a casa sua.
Eseguita l’infornata, la bocca del forno veniva chiusa con una lastra di pietra, la chjanghə, del peso di più di 30 chili. Una volta che la bocca del forno era chiusa e assicurata con una sbarra di legno, la varrə, e un cuneo di legno, u cugnə, veniva sigillata con dei canovacci umidi affinché non ci fosse penetrazione d’aria. La cottura richiedeva circa 2 ore; scaduto il tempo si toglieva la lastra, si sfornava il pane e lo si consegnava alla massaia, la quale pagava quanto dovuto.
Il fornaio non infornava solo pane, ma anche vari tipi di dolci che le donne impastavano in casa e poi, deposti in teglie rettangolari, erano prelevati e portati al forno. I più comuni erano i taralli, i tarallə chə l’ovə, e quelli col lievito, i frəseddə, i biscotti, i pastə, ed altri tipici dolci che si preparavano di solito a Pasqua o a Natale, come le scarcelle*, i scarceddə,o imostaccioli col vincotto, i mustazzerə. A volte la massaia chiedeva di infornare anche teglie di carne, la spasaràulə, focacce dolci, fatte con sugna e ciccioli, la fəcazzə a la stufə, focaccine, i fəcazzerrə, fatte di solito all’Immacolata. Il fornaio di solito non si faceva pagare per queste cose perché a Pasqua faceva il giro del quartiere per augurare Buona Pasqua e le clienti gli regalavano delle uova.
Queste cose ormai sono scomparse ed è rimasto solo qualche fornaio che cucina nel forno a legna un’altra squisitezza altamurana: la pèchərə alla rəzzaulə
U furnə il forno tipico a legna
U sckanetə (anche ‘u puanettə du puenə)
il pezzo di pane:la forma tipica altamurana presenta una strozzatura nella parte mediana come se fosse scannato, ‘scannetə’, da cui prende il nome.
U muerchə
il marchio con le iniziali di famiglia: era originariamente in legno, poi in ferro; con esso i fornai distinguevano i pani di proprietà delle diverse famiglie
U taulirrə
spianatoia o madia: base per impastare il pane e preparare pasta fatta in casa; nella foto a destra si vede tutto ciò che serviva per impastare
La zətellə il setaccio per la farina
La rasaulə
la radimadia: arnese metallico usato per pulire la madia dopo l’impastatura del pane; c’era anche quella più piccola, la rasulecchjə.
U jalnaturə
ilmatterello, bastone di legno usato dalla massaia per stendere e assottigliare la sfoglia di pasta prima di fare le orecchiette, i rəcchjəteddə, i capunti*, i capundə, o la tagliolina, la tagghjarinə.
U carresciapenə
il trasportatore di pane: era un operaio, ma di solito era lo stesso fornaio che trasportava il pane dalle case delle massaie al forno e ve lo riportava quando era cotto.
ETIMOLOGIE ALTAMURANE (Lettera C)
cavaiolә (la) chiasso, confusione [dall’espressione farse cavaiole, i versi farseschi e satirici che i napoletani rivolgevano agli abitanti di Cava dei Tirreni nel 1.500-1.600].
cegnә (la) cinghia dei pantaloni (dal latino cingula]: era una striscia di cotone rosso che veniva stretta attorno alla vita per sorreggere i pantaloni senza usare alcuna fibbia; era adoperata dai contadini e carrettieri di una volta, e dai cavalieri che tuttora partecipano alla processione del Buoncammino.
cendrә (la) chiodo [dal greco kendron]. Dim cәndroddә.
cәbbànghәsә (la) ricompensa [dal francese chevance, guadagno].
cәcchettә (u) 1-bicchierino di vino o di liquore [dal francese chiquet, goccetto]. 2-sgridata, rimprovero, rabbuffo, lavata di capo.
cәdderә (u) cantina [dal latino cellarius]: locale di casa solitamente piccolo, buio e sotterraneo, riservato alla conservazione del vino; col passare del tempo il nome è stato modernizzato in candinә.
cәliscә (u) acqua di cottura della pasta. (Dal francese coulage, lavaggio)
cәniscә (la) cinigia [dal latino volgare cinisia]: cenere grigia e sottile, ancora calda, che si forma lentamente sulla brace, a mano a mano che si consuma.
cәppàunә (u) 1-tronco della pianta di vite [dal latino cippum]. 2-ceppo di legno usato dal macellaio per appoggiarvi il tagliere e sezionare la carne, o dal fabbro per appoggiarvi l’incudine.
chepә (la) testa, capo [dal latino caput]. Plur càpәrә. Dim capoddә (di un bimbo), capuzzә (di un animale).
chәloclә (la) lucciola [dal latino collucere, risplendere], Luciola italica {°}: piccolo coleottero con l’addome che, per richiamo sessuale, è luminescente in modo intermittente.
chәlombrә (u) fiorone [dal greco corimbos, parte più alta, grappolo di fiori o frutti]: primo frutto dell’albero Ficus carica.
chәlostrә (la) colostro [dal latino colostrum]: primo latte secreto dalla mamma dopo il parto, molto ricco di sostanze nutrienti e di difese immunitarie.
chәttonә (u) cotone [dall’arabo qutun]: fibra tessile di origine vegetale.
chjaniddә (u) ciabatta, pianella [dal latino planus, piano]: sorta di comoda calzatura usata dalle popolane del passato anche per strada, mentre ora è tenuta solo in casa.
chjanuzzә (la) pialletta [dal latino planus, piano] lunga 20-30cm ed usata per spianare e lisciare oggetti in legno; ha forme diverse per poter fare lavori diversi.
Vito Ciccimarra
Lillino Calia