CONTINUA LA DESCRIZIONE DI ALCUNI MESTIERI ANTICHI
La nostra è stata sempre una civiltà prettamente contadina e l’asse portante dell’economia altamurana è stata l’agricoltura, oltre la pastorizia. Salvo pochi artigiani, la maggior parte degli altamurani si dedicava al lavoro della terra che veniva svolto con le mani e, a volte, con l’aiuto dell’animale, il mulo (nato dall’incrocio tra asino e cavalla), noto per la sua capacità di resistere alla fatica. Il lavoro del contadino, u zappatàurə, era molto duro. Ma quali erano i lavori che costavano tanta fatica al contadino? È opportuno esaminare nei dettagli tutti i lavori che erano necessari in campagna e che adesso sono stati completamente meccanizzati.
L’aratura è il primo lavoro necessario per coltivare la terra; questa attività veniva fatta dall’uomo e dall’animale che tirava l’aratro, l’aretə; c’erano diversi tipi di aratro a seconda delle esigenze. Dopo aver dissodato e penetrato la terra con l’aratro per circa 20 cm, il contadino provvedeva a seminare il terreno. La parte più faticosa di questa attività era il dover camminare nel terreno, a volte bagnato, per tutta la giornata con il seminatoio*, u səmənaturə. Questo era un sacco con due punte opposte legate, in cui si mettevano 20-30 chili di seme.
Un altro lavoro duro era la zappatura in profondità, la scatenə, che consisteva nellozappare profondamente il terreno con una zappa del peso di circa 5 chili. Per ‘scatenare’, scatənè, bisognava conficcare la zappa o il piccone, la zappə o u zappàunə, alla profondità di almeno 30 centimetri. Questo lavoro era necessario per piantare la vigna, le patate o altri ortaggi. Un attrezzo che si usava dopo la semina era l’erpice, u scuervə, che serviva a livellare il terreno e ad estirpare un po’ d’erba.
Dopo la semina, durante l’inverno, i campi ‘dormivano’ e il contadino ed il mulo godevano di un po’ di meritato riposo.Con la primavera i campi si ‘svegliavano’ e cominciava a crescere il grano. Ma insieme al grano cresceva anche l’erbaccia che andava eliminata, per cui bisognava zappettare, zappuluscè, il terreno; questo lavoro bisognava farlo con una zappa più leggera, la zappetta, la zappoddə, e se rimaneva un po’ di erba, questa era tirata a mano, visto che a quei tempi i diserbanti ancora non esistevano.
L’altro lavoro pesante, che andava eseguito stando curvi sul terreno e leggermente piegati sulle gambe, era lamietitura, la mətəturə. La mietitura e la trebbiatura erano un grande avvenimento: il momento più atteso della gente di campagna. Questa attività era molto pesante e lunga, ed iniziava verso la metà di giugno; c’era un detto altamurano che sanciva l’inizio della mietitura, “A Sandə Vitə, o verdə o səcchetə, vu mətitə”cioè “A San Vito, o maturo o non maturo, dovete mietere”. Il mietitore doveva indossare un abbigliamento particolare quando mieteva perchè con la falce, la falcə, poteva procurarsi qualche taglio. La parte del petto e dell’addome era protetta da un grembiule particolarmente resistente, u puttelə, le dita della mano erano protette da pezzi di canna, chiamati cannelli, i cannerrə, l’avambraccio era protetto da una specie di bracciale, u vrazzelə, gli stinchi erano protetti da gambali di cuoio, i jammelə.
Il contadino con la mano destra impugnavəa la falce e con la sinistra, protetta dito per dito dai cannerrə, univa quanto mietuto; quando la mano sinistra si riempiva, faceva il mannello, u scermə, e lo poggiava per terra. Un’altra persona (a volte la moglie o il figlio piccolo del contadino) metteva insieme una decina di mannelli per formare la gregna, la regnə. Le gregne erano ammassate per formare il covone, u strəjelə, che era formato da 30 gregne e rimanevano ad asciugare per alcuni giorni, prima di passare alla trebbiatura, la pəsaturə. Era necessario a questo punto trasportare, carrè, i covoni dal campo alla masseria per la trebbiatura. Questa operazione avveniva con il carro agricolo, u trainə, o il ‘carrettone’, u carrəttounə, molto più capiente e adoperato maggiormente dai padroni delle masserie che avevano più terreni. A volte i covoni erano di nuovo ammassati per formare le biche, i maitə, per poi aspettare la trebbiatrice meccanica.
Il piccolo contadino trebbiava con il proprio mulo: creava una piattaforma di terreno battuto e disponeva i covoni in forma circolare con le spighe rivolte verso il centro. Poi si disponeva al centro e faceva entrare il mulo sulla pəsaturə e, tenendolo legato con una corda, lo faceva girare intorno con trotto leggero accompagnandolo con canti e fischietti allegri per fargli mantenere il ritmo. Il mulo veniva bendato con una pezza, u facciarulə, affinchè, girando, non avesse capogiri. Quando per il calpestio le gregne si erano frantumate, ma non sminuzzate, si agganciava al mulo il rullo trebbiatore, u diaulottə, un rullo di legno provvisto di lame di ferro che tritava ulteriormente la paglia. Quando le spighe erano sufficientemente frantumate si dava inizio alla separazione del grano, u renə, dalla paglia, la pagghjə e dalla pula, u puləwacchjə; bisognava cioè ventilare, vəndəlè, tramite forche di legno, i forchə, e pale pure di legno, i pelə. Finito di ventilare bisognava cernere, cernə, il grano con dei setacci adatti, i farnerə, di cui c’erano diversi tipi. Un altro tipo di farnerə senza buchi, la tembənə, serviva per raccogliere ilgrano e metterlo nei sacchi, i sacchə;veniva poi trasportato nelle proprie abitazioni dove era messo in grossissimi contenitori di canapa, le balle*, i ballə e veniva usato durante l’anno o venduto quando c’era la necessità. Per la misurazione si usava la basculla, la bascùgljə, che il contadino di solito aveva in casa.
Questo tipo di trebbiatura si faceva anche con altri cereali o legumi, come avena, orzo, ceci, lenticchie ecc. e ogni tipo aveva un diverso setaccio.
I grossi proprietari terrieri, invece, tramite il loro massaro, u masserə ( a cui tutto il potere della masseria era demandato) assoldavano gruppi di persone di 5 mietitori (4 mietitori, i mətəturə, ed un legatore, u ləjandə) chiamate paranze*, i paranzə, che a volte venivano dalla ‘marina’, paesi come Toritto, Palo o Bari. Questo modo di lavorare è proseguito fin quando non è arrivata la ‘macchina’, prima quella per mietere, la mətətriscə, (trainataprima da quattro muli e poi dal trattore), poi quella per trebbiare, la trebbiatrice, la màchənə pə pəsè, azionata daltrattore, e ancora dopo quella per fare due operazioni insieme, mietere e trebbiare, la mietitrebbia, la mətətrebbjə. E’ chiaro che il contadino un po’ alla volta si è visto alleggerire dal suo pesante lavoro fisico (e caricato di preoccupazioni economiche per l’acquisto o il noleggio di queste macchine).
Tuttavia, se prima ci voleva più di un mese perchè il grano arrivasse nelle case del contadino, adesso con la mietitrebbia, la mətətrebbjə, il grano la mattina sta nei campi, la sera sta nei depositi di grano! Nessuno più conserva il grano nelle proprie abitazioni.
ETIMOLOGIE PAROLE ALTAMURANE
arruffuè arruffare, scompigliare, imbrogliare [dal longobardo rauffen, agitarsi]. •Portә i capiddә tutt’arruffuetә, ha i capelli tutti arruffati.
asciongә 1-aggiungere [dal latino adjungere], porgere. 2-raggiungere, arrivare. •Asciùngәmә naltunә, porgimi un altro. assì 1-uscire [dal latino exire].
assùgghjә (l’) lesina [dal latino tardo subula]: piccolo punteruolo affilato, usato per praticare buchi nel cuoio e poi cucirlo.
assuppuè asciugare, assorbire [dal latino ad exsuppare]. •Assuppә i piattә, asciuga i piatti con uno strofinaccio. Sin assucuè.
attangè sfiorare, toccare appena appena [dal latino tangere, toccare]. •Appenә u so attangetә, è cadutә nderrә e s’è ruttә, appena l’ho toccato, è caduto a terra e si è rotto. Vedi aspәttè, tuccuè.
attenә (l’) padre [dal greco atta].
attrassè tardare [dallo spagnolo atrassar], ritardare, rimanere indietro.
auandè 1-afferrare [dallo spagnolo aguantar], acchiappare, prendere
auzzә (l’) asfodelo [dal latino acutus, reso aguzzo], Asphodelus fistulosus {°}: pianta spontanea, con foglie lineari e fiori bianchi a grappolo. Una volta il suo stelo lungo e sottile veniva raccolto in piena estate, messo a seccare e utilizzato in inverno come legna da ardere
avvәzzè abituare, assuefare, avvezzare [dal latino volgare advitiare, deriv. da vitium, vizio].
azzәcchè 1-azzeccare, indovinare, colpire nel segno, fare centro [dal tedesco medio alto zecken, colpire], star bene
azzәttè 1-accettare, gradire [dal latino accipere]. 2-ammettere. •Fәnalmendә l’azzәttetә! Finalmente l’ha ammesso!
azzizzә siedi: invito dato a qualcuno [dal latino ad sidere, sedere accanto]. •Azzizzә culiddә, frase detta al bambino per tranquillizzarlo dopo che, giocando, è caduto per terra ed ha battuto il culetto
azzorràitә va tutto bene, OK [dall’inglese that’s all right].
Vito Ciccimarra
Lillino Calia