Ci sono temi che, con l’approssimarsi degli appuntamenti elettorali (specie quelli locali), ritornano prevedibilmente. Scrivo “temi” perché sarebbe improprio dire “progetti”, posto che un progetto può definirsi sinteticamente mediante la seguente formula: per lo spostamento dal punto A al punto B utilizzerò il percorso C, sulla scorta di una approfondita analisi di quest’ultimo, di una altrettanto puntuale cognizione del posizionamento di A e del posizionamento di B, e solo dopo aver scrupolosamente valutato il percorso D, quello E, quello F, etc.; un tema, invece, esiste in virtù di una più o meno elaborata capacità argomentativa.
Per abitudine mi sveglio tutte le mattine subito dopo l’alba, e la prima cosa che faccio, immediatamente dopo aver bevuto il mio caffè, è studiare, perché studiare è il mio percorso C, mentre A è il punto dal quale bevo il mio caffè e B il punto che in prospettiva vedo davanti a me, e il punto B potrei definirlo l’oggetto della mia “ambizione”, ossia ciò cui aspiro con un certo fervore e con la giusta dose di passione, requisiti indispensabili per poter sostenere gli sforzi utili a compiere tutto il mio percorso.
Ora, se volessi solo romanzare ciò che nella mia mente si configura come la rappresentazione del mio viaggio, cioè descrivere l’idea e i sentimenti che mi spingono a raggiungere il punto B, potrei semplicemente ricorrere allo sviluppo di un tema; ma se voglio arrivare a B, partendo da A e percorrendo la linea C, io devo studiare.
Quando un uomo (legittimamente animato dal desiderio di compiere la sua scalata di animale politico) pronuncia in campagna elettorale la parola “Cultura”, infarcendola con tutti quegli aggettivi e quelle perifrasi dai toni grottescamente epici, sta facendo sfoggio della sua, più o meno provetta, abilità retorica, ovvero sta esercitando la sua capacità persuasiva per il tramite delle argomentazioni delle quali dispone. Quale sarà l’effetto, sull’uditorio, delle sue dissertazioni, dipenderà dalla propensione dell’uditorio stesso a riconoscerne l’intensità, e tale propensione sarà direttamente proporzionale al bisogno che l’oggetto di quella retorica costituisca un valore per chi sta ascoltando. Quanto più alto sarà il valore che attribuisco a ciò di cui ambisci a parlarmi, tanto più alto sarà il mio bisogno, e dunque la mia attesa, che tu mi dica qualcosa di illuminante, di inaudito, di utile a poter compiere al meglio il mio percorso di spostamento dal punto A al punto B.
Poiché la politica, negli ultimi decenni, ha scientemente e progressivamente sottratto risorse al settore della Cultura, con il chiaro intento di costituire e ingrossare delle masse sempre più informi e inconsapevoli, orientate al soddisfacimento di bisogni futili, rispondenti ad una scala di valori vacui, l’animale politico che pronunci, oggi, la parola magica “Cultura” non potrà non assumersi il rischio di risultare estremamente noioso, o, ancor peggio, incredibile agli orecchi di chi avrà scelto di vivere al di fuori di quella massa informe e inconsapevole partorita dal ventre malato della politica.
Di Cultura bisognerebbe, pertanto, parlare con una certa cautela. Oppure -cosa che sarebbe maggiormente auspicabile- con la sfrontatezza di chi, smessi gli abiti del rettore, decida di indossare quelli del visionario; del rivoluzionario pronto ad estirpare le necrosi del sistema, ribaltando radicalmente la conclamata scala dei valori, per proporre una prospettiva nuova e inimmaginabile della realtà. Un visionario illuminato, con un sincero slancio verso l’utopia, e indisposto a scendere a compromessi con chi intendesse tenerlo al guinzaglio del potere; un potere che ad altro non ambisce se non a legittimare se stesso attraverso l’adozione delle solite e miserabili pratiche. Delle solite e riprovevoli logiche.
Bartolomeo Smaldone