CONTINUA LA DESCRIZIONE DI ALCUNI MESTIERI SCOMPARSI
Il mestiere del funaio, u cuanaperə, è andato scomparendo in seguito all’invenzione delle fibre sintetiche e delle macchine che producono le funi in automatico. Ma fino agli anni 1950-60 le funi fatte con le fibre di canapa erano molto utili perché largamente usate in tantissime attività: il contadino le usava per assicurare il carico sul basto e sul carro, per allungare le briglie, per legare la legna in fasci; il pastore le usava per tirare su l’acqua dal pozzo ed abbeverare le bestie, i muratori le usavano per sollevare il materiale (tufi, calce, etc.) fino al piano di lavoro; il carrettiere le usava per legare le merci sul carro e per tirare la fune del freno a mano, la martinicca, la martəllinə; mentre le donne le usavano per stendere i panni lungo le strade.
I funai quindi venivano interpellati per i diversi tipi di funi che riuscivano a produrre, dalla fune molto grossa e robusta per carichi pesanti, u lazzə, a quella normale, u cuànəpə, giù giù fino a quella sottile, u cuanapiddə, e molto sottile, u spueghə, e u spuaghettə.
Avevano un unico attrezzo di lavoro, consistente in una grande ruota, la rotə a doppia faccia, di almeno un metro di diametro, con al centro una manovella da azionare a mano.
Tutto il lavoro di girare continuamente la manovella era affidato ai figli oppure alla moglie dell’artigiano, ed a qualche eventuale aiutante. Avveniva tutto all’aperto e in tutte le stagioni dell’anno: per effettuare il lavoro era necessario lasciare davanti alla ruota uno spazio libero di almeno 20 metri, e siccome nessuno poteva permettersi un locale così ampio, si effettuava questo lavoro solo all’aperto e nella periferia del paese.
Ma da dove proveniva la canapa? Arrivava dal settentrione, dove esistevano delle grandi coltivazioni di queste piante. Una volta giunte a maturazione, queste venivano estirpate e lasciate essiccare al sole, per essere poi poste in grandi vasche piene d’acqua a macerare. Completata la macerazione (a questo punto le piante emanavano un fetore insopportabile), le piante, che si erano ridotte in fibre, venivano raccolte ed esposte ad essiccare al sole, e poi vendute.
Il funaio comprava queste fibre di canapa e cominciava a lavorarle in modo da ottenere un filo: egli partiva tenendo inserito nella cintura dei pantaloni un enorme ciuffo di fibra grezza, ne prendeva una manciata con la mano sinistra, la arrotolava e ne faceva un breve tratto di filo, ne legava un capo all’anello di una piccola puleggia e la metteva in rotazione. Grazie a questo attorcigliamento egli riusciva a formare un primo tratto di filo, e proseguiva nel lavoro aiutandosi con la mano destra per prendere altra fibra grezza dalla cintura e con la mano sinistra per guidare la torsione del filo che si andava formando. Man mano che si allungava il tratto di filo, egli si allontanava all’indietro dal meccanismo con un movimento lento e costante; per questo motivo il funaio era anche chiamato u muestə all’andretə, il mastro all’indietro. Nella sua andatura l’abile artigiano badava a dosare la quantità di fibra e la corretta torsione in modo da ottenere un filo con spessore sempre uguale; nel contempo badava anche a bagnare continuamente il filo perché, asciugandosi, prendesse la forma definitiva; quando raggiungeva una certa lunghezza, egli lo staccava dal meccanismo e lo metteva in tensione ad essiccare; dopo un po’ di tempo lo avvolgeva in matasse. Siccome il tratto libero del filo in lavorazione era piuttosto lungo, di oltre 20 metri, egli metteva alcuni supporti o cavalletti intermedi, i trəsterrə, per evitare che il filo toccasse per terra e si sporcasse.
Successivamente prendeva più fili, li legava per un capo al meccanismo, e li sottoponeva a “commettitura”, cioè li avvolgeva a spirale su di un’anima centrale, per formare così il trefolo, u trèfələ, (dal latino tri-filum); attorcigliando più trefoli insieme, otteneva la fune vera e propria. Poteva produrre funi di varie grandezze avvolgendo trefoli di vari spessori e attorcigliando un numero più o meno elevato (due, tre o anche quattro) di questi trefoli. Una volta completata l’operazione di attorcigliamento, la fune era lasciata per qualche tempo in tensione, per fissarla nella forma definitiva. La fune era venduta a chili, mentre lo spago e lo spaghetto a rotoli.
Un noto artigiano altamurano, soprannominato u canaperə, svolgeva la sua attività abbascə o lè, in uno slargo fra via Colletta e via Ugo Bassi dove c’era molto spazio. Questo soprannome è passato poi ai suoi discendenti.
ETIMOLOGIE PAROLE ALTAMURANE
angallarè farsi rosso in viso per la vergogna, il pudore, l’ira, etc [dal latino calidus, caldo]
annaschè annusare, fiutare [dal latino nasicare]. •I chenә s’annàschәnә, i cani s’annusano, si fiutano. •Tand’a fattә ca l’è ggiut’a nnaschè, tanto ha girato che l’ha trovato..
apparè 1-pareggiare [dal provenzale apparelhar], livellare. 2-saldare il debito. •Apparemә i pәdetә, livelliamo le impronte lasciate sul terreno.
appassulè appassire, disseccare [dal latino pandere]: detto di verdura che si inaridisce e poi muore. •Fichә appassuletә, fichi appassiti sulla pianta (da non confondere con fichә sәcchetә, fichi secchi perché raccolti maturi e messi ad essiccare al sole). •Chessa fèmәnә jè nu picchә appassuletә, questa donna non è più nel fiore degli anni.
appәccè accendere [dal latino ad picare, attaccare il nemico con pece accesa]. Rifl appәcciarsә,accendersi, accalorarsi, infuriarsi. •Appiccә e stutә,luce intermittente. •È ppәccjetә nu fuechә,ha acceso un fuoco, ha scatenato l’ira di Dio.
appostә 1-apposta [dal latino ad positum]: avverbio. 2-persona seria: aggettivo. •L’è fattә appostә! L’ha fatto di proposito! •Jè nu uagnàunә appostә, è un ragazzo serio
aputechә (l’) farmacia [dal greco apotheke, ripostiglio]. Sin farmacì, spәciarì
arelә (l’) crivello [dal greco airéo, scegliere, preferire): attrezzo con telaio cilindrico in legno e fondo piatto in lamiera metallica con fori di varie dimensioni; era usato per fare una prima cernita grossolana dei cereali
arrangè arrangiare [dal francese arranger]: fare qualcosa alla bell’e meglio, improvvisare. Rifl arrangiarsә, arrangiarsi, arrabattarsi. •L’à vulutә tu e mo arràngәtә! L’hai voluto tu, e adesso arrangiati!
arrapetә eccitato sessualmente [dal latino ad rapem: si credeva che le rape fossero afrodisiache].
arrappè raggrinzire, spiegazzare la pelle, il tessuto, etc [dal catalano arpar, lacerare]. Rifl arrapparsә.
arretә (Se pronunciata con la e chiusa): ancora, di nuovo, nuovamente [dal latino ad retro]. (Se pronunciata con la e aperta): di rado, raramente [dal latino rarus, raramente]. •Fall’arretә cә sә capescә,fallo di nuovo, se sei capace (detto in tono di sfida).
arrәcetә rovistare, frugare, rovistare, cercare con cura [dal latino receptare]. •Arrәcitә ca l’acchә, chi cerca trova. Vedi rәcesә, cәrchè.
arrәggәttè 1-rassettare, rigovernare la casa, mettere in ordine [dal latino receptus, ricevuto, accolto: infatti prima di ricevere una persona in casa, si usa mettere in ordine le cose]. 2-mangiare tutto, fino in fondo. •So fәnutә pròpәtә mo d’arrәggәttè chesә, ho finito proprio adesso di rassettare casa mia. •S’è rrәgәttetә nu bellә piattә dә lәndècchjә, si è finito un bel piatto di lenticchie
arrәjà! comando dato al mulo quando, tirando a sé le redini, si voleva farlo marciare all’indietro [dal latino ad retrum].
Vito Ciccimarra
Lillino Calia