Secondo i dati del CENSIS prima della pandemia, circa 20 milioni di utenti si sono visti negare una prestazione favente parte dei livelli essenziali di assistenza (Lea). Chi aveva soldi ha proceduto a pagamento. Quindi ogni 100 richieste, 28 sono finite nel privato a pagamento. La coda per la richiesta di prestazioni si fa sempre più lunga, a partire dal biennio 2020/2021 della pandemia, con diagnosi fatte in ritardo, alcune probabilmente mai fatte, con danni prima ai pazienti e poi al SSN che si vede aumentare i costi di gestione di queste malattie che si sono aggravate. Purtroppo sembra che la tendenza all’aumento delle richieste di prestazioni nel 2022, rispetto al 2019, prima della pandemia, stia crescendo, ma anche qui è solo la Regione Toscana che monitora le prestazioni non erogate. Per quanto riguarda i dati riferiti al “ritardo nelle visite specialistiche”, si evince, non senza stupore, che molti dati negativi stanno anche al Nord, un meno 46% di Bolzano, un meno 27% della Valle d’Aosta, un meno 11% della Lombardia, un meno 17% del Piemonte, rispetto a un meno 8% della Puglia, a un meno 9% della Campania e addirittura a un meno 1% della Basilicata. Unica Regione che ha chiuso in positivo, a più 1% è la Toscana. Questi dati,certo sono dati ufficiali forniti dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e sono incontestabili, non ci sono strumenti per farlo.
Ma quello che raccontano gli utenti sul ritardo delle visite specialistiche, fa parte della realtà percepita? In parte si, ma c’è pure una parte di realtà vera, fatta di liste ancora bloccate e di tempi che vanno molto oltre dei tempi di attesa previsti. Restando in argomento, perché quasi tutte la regioni non pubblicano più sui propri siti i tempi di attesa per le varie prestazioni? Questo mi sembra un altro elemento di non trasparenza della Pubblica Amministrazione. Nel 2021 sono stati stanziati 500 milioni di euro per pagare le prestazioni extra orario ai medici, risultati inefficienti per il servizio pubblico, per via di limiti e capacità organizzative, al contrario più proficui per i servizi accreditati, che non hanno vincoli e che hanno potuto prolungare l’onda delle richieste di prestazioni, con quelle a pagamento guadagnando di più. Infatti le strutture accreditate, hanno rallentato le prestazioni in convenzione e hanno fortemente aumentato del 58% le prestazioni a pagamento, prendendo i soldi direttamente dalle tasche degli utenti, facendo aumentare ancora di più la spesa privata. Secondo gli ultimi dati della Ragioneria generale dello Stato, la spesa privata (soldi presi dalle tasche dei cittadini) è passata dai 34,85 miliardi di euro del 2019, ai 37 miliardi del 2021, un 6% in più, equivalente a 2,15 miliardi, nonostante la crisi. La metà di questa spesa è utilizzata per visite specialistiche ed interventi. Tutto questo quadro dimostra che chi ha i soldi e può pagarsi le prestazioni si cura, chi non ha soldi attende o rinuncia, con il rischio di aggravarsi.
Michele Lospalluto