I servizi sanitari nel nostro paese, vivono condizioni difficili, ospedali al collasso con pronto soccorso super affollati anche per la forte carenza della medicina territoriale e le lunghissime liste di attesa, fortissima carenza di personale sanitario (soprattutto medici e infermieri), medici già insufficienti che si dimettono soprattutto dalle aree di emergenza per turni molto stressanti e instaurano tramite società o cooperative, un rapporto di lavoro con le ASL a gettone a 150 euro ad ora. Un quadro disastroso che stiamo raccontando da queste pagine da mesi, sottolineando che c’è il grave rischio che venga negato il diritto alla salute sancito dalla nostra costituzione all’art. 32. A questo quadro si aggiunge la fuga dei medici, alcuni scelgono le strutture private che pagano di più e altri scelgono, in questo contesto di crisi profonda della sanità, la via più conveniente, per i tempi di lavoro e per un maggiore guadagno. Questa scelta, seppure compresa per diversi motivi (tagli della spesa pubblica da 30 anni e conseguente taglio degli organici, stipendi bassi che giustificano l’attività a pagamento nelle strutture pubbliche ecc.) pone un problema deontologico. In un momento critico come questo una scelta opportunistica, ripeto seppure compresa, ma dal rischio di essere compresa come forma di ricatto non è accettabile, con non lo è per le condizioni che si vanno a creare in una struttura, nella quale sono costretti a convivere due rapporti di lavoro a parità di merito, fortemente contrapposti. Ci sono medici che in tre o quattro giorni di lavoro, prendono lo stipendio di chi lavora un mese e questo è degradante e insopportabile in un servizio che deve tutelare la salute e gli operatori ci mettono il massimo di impegno con grande dignità, tutto questo a maggior ragione non può essere accettato nel pubblico nel quale a parità di prestazioni, deve essere corrisposta una corrispondente e giusta paga. E’ il momento che intervenga l’Ordine dei medici a tutela della moralità della professione e ad attivare forme di protesta e di lotta diverse. L’intervento della Corte dei conti. Interviene in maniera dura la Corte dei conti sul tema dell’accesso al Servizio Sanitario bloccato dalle liste chiuse, con una delibera della sezione regionale di controllo per la Toscana e anche sulla libera professione intramoenia (prestazioni a pagamento) dei medici, collegata con la tematica del rispetto dei tempi di attesa per visite ed esami.
La Corte dei conti sottolinea che “la libera professione all’interno delle strutture sanitarie pubbliche dev’essere sempre attenzionata e disciplinata, in particolare quando una ridotta disponibilità temporanea di prestazioni in regime istituzionale (attività ambulatoriale ordinaria) metta a rischio la garanzia di assicurare al cittadino le prestazioni all’interno dei tempi massimi regionali”. Il regolamento sull’attività libero professionale a pagamento (intramoenia) e il Piano nazionale di governo sulle liste di attesa prevede che “in caso di superamento dei tempi massimi di attesa previsti dalla Regione, si deve attuare il blocco dell’attività a pagamento, fino a quando i tempi raggiungono lo stesso livello”. Per mancati controlli (anche per per questo è intervenuta la Corte dei conti) le Regioni, quasi tutte, dotate di commissioni ad hoc, non intervengono in caso di disallineamento tra le due attività, a bloccare quella a pagamento. Tra l’altro ricordo che per norma e regolamento, l’attività a pagamento non deve superare il 50% di quella istituzionale. Ma i limiti non vengono rispettati da quasi tutte le Regioni, se non in casi rarissimi. Ci auguriamo che la Corte dei conti, che ha deciso questo intervento sulla Regione Toscana a livello centrale, dopo un’indagine che è durata qualche anno(la Corte dei conti ha questo grande difetto dei tempi lunghi) possa intervenire sui servizi sanitari di altre Regioni a partire da quelle in cui sono state avviate da tempo indagini sulla gestione delle liste di attesa.
Michele LOspalluto