una analisi della legge 219 del 2017 a cinque anni dalla entrata in vigore
Sono trascorsi cinque anni dalla entrata vigore la Legge 22 dicembre 2017, n. 219, contenente “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”. (DAT) La legge il cui articolo 1 recita che “tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”, nel rispetto dei principi della Costituzione (art. 2, 13 e 32) e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Una legge che afferma il diritto di ogni persona “di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”. Quanto questa legge sia conosciuta e quanto sia realmente applicata è la domanda che spesso ci poniamo di fronte a situazioni drammatiche che coinvolgono non solo scelte individuali ma anche la sfera famigliare in presenza di patologie gravi ed irreversibili che impongono decisioni dolorose e eticamente non facili da prendere. La legge ha come cardine la relazione di cura e fiducia tra il paziente e il medico di base che si basa sul consenso informato che può essere espresso sia in forma scritta che attraverso videoregistrazioni o in casi particolari attraverso dispositivi tecnologici inequivocabili che comunicano una volontà e una scelta pur sempre revocabile che va nel caso di ricovero in strutture sanitarie inserita nella cartella clinica individuale e nel fascicolo sanitario elettronico. In ogni momento la persona può rivedere le sue decisioni. Il rifiuto (non inizio) o la rinuncia (interruzione) riguardano tutti gli accertamenti diagnostici e i trattamenti sanitari, tra i quali la Legge include l’idratazione e la nutrizione artificiali. Importante è il ruolo del medico in questa fase in quanto “Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. “Il medico è tenuto altresì a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali”. Nelle situazioni di emergenza o di urgenza “il medico e i componenti dell’équipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla”. La legge affronta anche il tema della terapia del dolore, del divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e della dignità nella fase finale della vita. Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente”. Anche le persone minorenni o incapaci “deve ricevere informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità per essere messa nelle condizioni di esprimere la sua volontà”. La legge ha anche aperto a quello che comunemente viene definito “testamento biologico” o “biotestamento” che consente di definire un percorso di consenso informato in cui medico e paziente possono realizzare una pianificazione condivisa delle cure in caso di “patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta”. I documenti atti ad esprimere le volontà del disponente in merito ai trattamenti sanitari, sono depositati presso l’ufficio di stato civile del comune di residenza o presso un notaio . Resta un dato legato alla scarsa conoscenza di questa legge o un istintivo rigetto del tema del “ Fine Vita “ documentato dai dati che solo 4 italiani su mille hanno sottoscritto in 5 anni le proprie Disposizioni Anticipate di Trattamento . Sarebbe bene affrontare questo delicato e sensibile tema che coinvolge tutti con maggiore laicità a partire dalla scuola e non fermarsi alla superfice o alla inevitabili semplificazioni o lasciare che siano esclusivamente i medici ad occuparsi di questo aspetto sanitario delle nostre vite. Bisogna evitare contestualmente come purtroppo succede che, davanti a casi estremi di rischiare di trovarsi soli a dovere dare risposte o peggio doverci sostituirci ad interpretare volontà altrui senza alcun confronto libero e incondizionato .Un diritto Vivo. Michele Micunco