MA SENZA IL CONSENSO DELLE REGIONI.
ENTRO IL 2026 I SERVIZI SANITARI DI BASE SARANNO RIUNITI NELLE CASE DELLA COMUNITA’.
PURTROPPO MANCANO I SOLDI.
Il Governo tira dritto e per non perdere i fondi del PNRR qualche settimana fa, ha approvato i modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel servizio sanitario nazionale, buco nero durante le prime ondate della pandemia. L’accordo Stato-Regioni dopo un mese di trattative, non c’è stato per l’opposizione della Regione Campania che ha annunciato ricorso. Certo la sanità come sistema di prestazioni ed assistenza ha bisogno urgente e profondo di ritrovare il suo progetto originale: quello di essere strumento per ridare alla salute- dignità delle persone, il peso di un diritto universale (si è perso con le varie riforme che hanno trasformato le unità sanitarie in aziende) ed inalienabile, così come previsto dalla nostra Costituzione. La difficoltà di questo impegno e ben documentata nel PNRR, che è di fatto un manuale di evasione dalle problematiche concrete della sanità. Ma di questo argomento ne parlerò in un’altra occasione. La riforma.
La principale novità della riforma sono le circa 1300 “Case di Comunità” da realizzare entro il 2026 nelle quali opereranno diversi specialisti, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialisti, infermieri di comunità, altri professionisti della salute e assistenti sociali. L’obiettivo: avvicinare i servizi ai cittadini, risparmiare agli utenti le liste di attesa e i costi delle strutture private. Nella Casa della Comunità ambulatorio e diagnostica di base saranno riuniti e integrati. L’organizzazione. Le case saranno divise in HUB: Centrali e più attrezzate, una ogni 40-50 mila abitanti, aperte h 24. SPOKE: periferiche, per le attività ordinarie, distribuite secondo le caratteristiche del territorio e accessibili per 12 ore al giorno per 6 giorni su 7. Le figure professionali presenti nelle case HUB: opereranno medici di base, pediatri, specialisti per le patologie croniche e ad alta prevalenza, infermieri (tra 7 e 11), operatori sanitari (tra 5 e 8). Le prestazioni: si potranno effettuare vaccinazioni, prelievi, ecografie, ECG e altri esami di base. Non saranno solo ambulatori, ma si collegheranno con un approccio integrato e multidisciplinare con assistenti sociali, consultori e garantiranno la partecipazione di associazioni e di tutta la comunità. Le figure professionali delle case SPOKE: assorbiranno gli attuali studi associati dei medici di base, ma con orari di apertura più estesi e servizi ambulatoriali specialistici per patologie ad alta prevalenza. Le prestazioni: diagnostica di base, i prelievi e le vaccinazioni saranno erogate in maniera facoltativa. Questa è l’organizza-zione prevista dalle “Case di Comunità” con gli standard riferiti alle figure professionali. I limiti e i rischi di questa riforma. La realizzazione concreta idi questa riforma in termini di servizi sul territorio, dipenderà dagli investimenti che farà questo governo. Il governo precedente aveva destinato dal PNRR 4 miliardi di euro per la costruzione di 2564 “Case di Comunità”. Questo governo ha dimezzato il numero di “Case di Comunità” e il fondo, riducendo quest’ultimo all’1% del totale del piano. Ricordo che i fondi del PNRR non prevedono assunzione di personale, ma sono vincolati solo ed esclusivamente per acquisti di attrezzature e
costruzioni di infrastrutture. Per l’assunzione di personale devono provvedere le Regioni, che potranno utilizzare solo 94 milioni stanziati a marzo 2020 per assumere gli infermieri di comunità il resto deve essere fatto senza aggiunta di altri oneri da parte del fondo dello Stato. I medici di base sono circa 42 mila e sono insufficienti, tenendo conto che entro il 2028 secondo gli ultimi dati, andranno in pensione tra gli 8 mila e i 10 mila, il quadro si fa drammatico. Il quadro si fa ancora più difficile con il DEF 2022 che prevede il calo della spesa sanitaria dal 7% al 6,2% del PIL nei prossimi tre anni. Le risorse mancanti sono a carico delle aziende sanitarie e dei comuni. I comuni in dissesto e predissesto non potranno contribuire e le ASL saranno in difficoltà, le differenze di prestazioni resteranno così come sono oggi con lunghe liste di attesa, o com’è successo in passato si ricorrerà al subappalto verso imprese e cooperative private, un grande piaga molto diffusa nei nostri servizi sanitari. La presenza infermieristica h 24 nelle “Case di Comunità” HUB è solo fortemente consigliata, i consultori e l’attività ai minori sono facoltativi, le vaccinazioni 0-18 anni e gli screening pure. I servizi per la salute mentale con la presenza di psicologi e le dipendenze, raccomandati senza fortemente. I medici di medicina generale. La loro attività nelle “Case di Comunità” è considerata aggiuntiva, rispetto a quella svolta in regime di libera professione nel proprio studio, nel quale presteranno servizio per 38 ore obbligatorie. Nelle “Case di Comunità” dovranno prestare servizio per 6 ore e 5 per progetti regionali, quindi dovranno sottostare a turni come i medici ospedalieri, compresi i weekend. L’organizzazione sindacale dei medici di famiglia, la Fimmg che è la più rappresentativa, non ha ancora raggiunto un accordo con il governo e l’ipotesi che diventassero dipendenti diretti dello Stato è molto lontana. Integrazione sanitaria e sociale. Anche in questo ambito ci sono grossi limiti, non solo sul piano sanitario tra ospedale e servizi sul territorio, vecchio problema mai risolto, ma anche sul piano socio-sanitario. Gli assistenti sociali e le figure professionali che si occupano del sociale, sono insufficienti per mancanza di risorse, il sindacato di questi ultimi chiede un rapporto di un Assistente Sociale per ogni 5 mila abitanti, per assicurare la “valutazione multidimensionale dei bisogni”.
Michele Lospalluto
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il sistema che si vuole realizzare polarizza l’attenzione sulla malattia e trascura la globalità della persona e il suo rapporto con tutto ciò che lo circonda,