Maurizio è un ragazzo di 50 anni, affetto da schizofrenia paranoidea e disturbo comportamentale che fin da piccolino è stato accolto in strutture ad hoc perché orfano di genitori. Ha trascorso l’infanzia passando da una struttura all’altra dove, in ognuna, doveva trovare il suo equilibrio ed adattarsi all’ambiente ed alla compagnia. Da ormai 6 anni vive in struttura con noi, noi che siamo diventati la sua famiglia. Come in ogni famiglia ci sono litigi, momenti di crisi e momenti di amore incondizionato. Il rapporto con gli altri ragazzi è equiparabile al rapporto con dei fratelli e delle sorelle, ci si spalleggia a vicenda e si condivide la giornata ma anche i litigi non mancano mentre noi operatori fungiamo da genitori ed allo stesso tempo da amici. Alla base del nostro rapporto c’è la fiducia che talvolta viene messa alla prova da alcune “marachelle”. Lui in modo particolare, ogni mattina esce per una passeggiata in autonomia, resta sempre nei paraggi della struttura ma l’altro giorno non è rientrato all’orario prestabilito. Vani i tentativi di contattarlo telefonicamente perché il telefono era spento per cui, decido di uscire a cercarlo ma anche ciò si rivela inutile. La paura e l’agitazione di noi operatori era palpabile e la tensione continuava a salire, gli altri ragazzi notano la nostra preoccupazione ed iniziano a fare domande. Capiscono e cercano di darci una mano ripercorrendo con la mente i luoghi di suo interesse, noti a tutti quanti. Si esce nuovamente a cercarlo, questa volta con alcuni dei ragazzi che erano visibilmente preoccupati, si ripercorre il percorso che solitamente effettua tutte le mattine passando dal bar in cui consuma il suo caffè e dal parco in cui fuma la solita sigaretta ma nulla, di Maurizio nessuna traccia. Decidiamo di spostarci e allontanarci dal quartiere e durante il tragitto uno dei ragazzi scoppia in lacrime e inizia a scusarsi. Dice di aver parlato con lui e di sapere dove potrebbe essere; prima di uscire gli aveva confidato di voler andare ad un centro scommesse ma non poteva dirlo a noi operatori perché consapevole del nostro parere a riguardo per cui iniziamo a passare in rassegna i centri più vicini e durante il tragitto scorgo da lontano un ragazzo che corre all’impazzata. Avevamo trovato Maurizio che vedendo il mezzo ci viene incontro in lacrime sapendo di dover ricevere una ramanzina con annessa punizione. Entra in macchina e inizia a chiedermi scusa con il poco fiato che gli resta mentre io resto impassibile cercando di mantenere la calma; tornati in struttura viene in ufficio e cerca di spiegarci e di scusarsi per il comportamento assunto, si dice consapevole di aver sbagliato e di averci fatto preoccupare, di aver perso la cognizione del tempo perché non poteva tenere sotto controllo l’orario dato che il suo telefono era spento. Ovviamente la punizione non può mancare e lui lo sa.
Carmela CLEMENTE