IL 29 ottobre la Chiesa Cattolica celebra la ricorrenza della beatificazione di ROSARIO LIVATINO: in quel giorno il magistrato assassinato ricevette il sacramento della Cresima. L’8 luglio di quest’anno il sindaco di Canicatti, Ettore Di Ventura e Pietro Nava hanno avuto modo di sentirsi per telefono. Il sindaco ha informato il testimone oculare dell’omicidio del giudice che sarà ufficialmente “cittadino onorario” di Canicatti. Alla cerimonia non sarà presente Pietro Nava: a 31 anni da quel tragico agguato è ancora ritenuto “soggetto a rischio” destinatario di un verdetto di morte della famiglia mafiosa agrigentina. Con la manifestazione si concretizza il deliberato del Consiglio comunale dell’8 aprile 2021 di conferire la cittadinanza onoraria a Nava, che da quell’evento ha perso la sua identità e vive a 72 anni sotto falso nome in una località sconosciuta.
Il 21 settembre 1990 al mattino il giudice Livatino si recava in ufficio con la sua modesta Ford Fiesta, da solo, senza scorta, difeso dalla sua bontà e dalla sua umiltà, come affermarono i suoi colleghi magistrati. Lungo la statale Agrigento-Caltanisetta fu affiancato da un’auto in cui c’erano 4 uomini che gli spararono attraverso i vetri, ferendolo alla spalla. Il Magistrato fermò l’auto e cominciò a correre tra i campi. I sicari lo inseguirono e, benché lui dicesse “ Picciò, che vi ho fatto?”, uno di loro sparò il colpo di grazia.
Pietro Nava con la sua testimonianza permise di identificare e poi condannare all’ergastolo i sicari del giudice, ma affermò che quella mattina morirono in due: il povero giudice e lui stesso. Quando qualche anno fa’ riapparve in Commissione Parlamentare antimafia era un fantasma.
Rosario Livatino era nato a Canicatti il 3 ottobre 1952 da Rosalia Corbo e da Vincenzo. Il 9 maggio 2021 è stato dichiarato Beato, dopo essere stato definito “Servo di Dio” subito dopo la morte. In molti si sono chiesti perché sia stato beatificato. La data non è casuale, perché il 9 maggio rappresenta l’anniversario della visita di san Giovanni Paolo II, il Pontefice che definì Livatino “martire della fede” nel famoso anatema lanciato nella città dei templi, Agrigento, contro la mafia. Poco prima aveva incontrato Rosalia Corbo, la madre del “giudice ragazzino”. Era stato l’allora Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, a usare l’espressione “giudice ragazzino” in un discorso rivolto alla magistratura. Il Presidente cercò anni dopo di giustificarsi, ma ormai era troppo tardi. Nel libro “ Il giudice ragazzino” dove racconta la storia del giudice, Nando Dalla Chiesa dichiara: “ Livatino e la sua storia sono uno specchio pubblico per un’intera società e la sua morte, più che essere un documento d’accusa contro la mafia, finisce per essere un silenzioso, terribile documento d’accusa contro il regime complessivo della corruzione”. Magistrato non influenzabile, serissimo e competente, era molto religioso: ogni mattina prima di recarsi in ufficio si fermava a pregare nella Chiesa che era sul suo percorso.
Sul luogo dell’agguato arrivarono insieme due magistrati: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Che grandi coincidenze ci riserva la storia! “ Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di DIO-AMORE”.