INTERVISTA AL PROF. GIUSEPPE PUPILLO, PRESIDENTE DELL’ A.B.M.C.
Non può scivolare nell’oblio quell’astinenza dalla Cultura che ha dominato l’ennesima stagione pandemica e parlo di quella cultura vera, quella che dà un senso alla vita, quella che dà voce al nostro pensiero e alla nostra coscienza, quella che sa decodificare le emozioni attraverso un patrimonio intellettuale che accompagna le stagioni del pensare, insomma quella che ci è mancata rendendo più stanche le nostre anime. Pandemia o non pandemia, la Cultura però vive spesso i suoi disagi, le sue varie interpretazioni, le sue disarmonie. In attesa di una nuova linfa vitale, sono andata a cercare qualche risposta antica e nuova in uno dei luoghi eccellenti della cultura locale l’A.B.M.C (Archivio Biblioteca Museo Civico), ente che, per numero di volumi e innumerevoli reperti di inestimabile valore storico, è luogo privilegiato degli studiosi locali e non. Una passeggiata nostalgica tra i profumi del sapere impreziosita dalla conversazione con il prof. Pupillo, Presidente dell’A.B.M.C, noto studioso del nostro territorio e autore di testi prestigiosi, la cui accoglienza e generosità nel raccontarsi hanno confermato una antica stima accompagnata da profonda gratitudine.
Prof. Pupillo, quale voce autorevole della cultura altamurana come studioso del territorio e Presidente della prestigiosa A.B.M.C. potrebbe palesare le sue considerazioni sullo status culturale della nostra città tracciando un excursus della sua esperienza di presidente del luogo di cultura per eccellenza?
Non si può negare che in Altamura ci sia un grande fervore culturale. La Cultura, però, per la sua molteplicità d’aspetti, ha bisogno di essere organizzata. E’ senz’altro interessante partecipare a incontri, ascoltare gli intenti e i progetti di diverse associazioni su questo o quell’altro tema, progettare attività. Spesso però, ho l’impressione che la cultura altamurana sia una pentola scoperta in cui bolle in continuazione dell’acqua che però non è in grado di cucinare nessun tipo di pasta. Siamo in tanti a parlare e in pochi a concretizzare. E allora perché non far confluire tanti rivoli in pochi fiumi? Così facendo si eviterebbero contrapposizioni, duplicazioni, false scoperte. Mi fanno sorridere quei “santoni” che hanno vissuto lontano dalla loro città natia e nei loro ritorni in patria, divenuti magari più frequenti, sono pronti a criticare i loro concittadini di non aver saputo, ad esempio, valorizzare il dialetto, anzi di averlo ignorato. Quale la soluzione? Fondare un’associazione con questo scopo. Basta conoscere, informarsi, studiare e soprattutto essere un po’ umili e coscienti per non apparire ridicoli. Bisogna pensare sempre che noi seguiamo chi ci ha preceduti e, prima di gridare “Eureka” informiamoci se una nostra intuizione è appartenuta ad altri prima di noi.
A prescindere dalla pandemia che ha influito negativamente in tutti gli ambiti culturali, mi risulta che c’era già sentore di una carenza di frequentazione dei luoghi della cultura e le biblioteche tra queste tanto che alcune famose hanno dovuto chiudere. Secondo lei questo fenomeno è da imputare esclusivamente all’era digitale?
Probabilmente in parte sì. Chi fa ricerca oggi è di gran lunga facilitato rispetto al passato. Può consultare testi che si trovano in biblioteche di tutto il mondo cliccando semplicemente su download e svolgendo altre semplici operazioni. E allora quale sarà il futuro delle biblioteche? La nostra ad esempio è diventata un luogo di studio, non più di consultazione e lettura. Studiare a casa non è più di moda? Gli studenti cercano l’aggregazione in un luogo centrale. Si va dunque verso una forma di biblioteca che sarà stravolta, diventerà virtuale, completamente digitale e in parte questo processo è già cominciato. I libri cartacei diventeranno- speriamo proprio di no-oggetti museali da raccogliere, conservare e mostrare agli utenti del futuro.
In città c’è un proliferare di associazioni culturali impegnate a svolgere un ruolo di divulgazione di tematiche spesso interessanti ma il più delle volte i loro percorsi sono paralleli e gli utenti sempre gli stessi. Secondo lei quale l’anello mancante perché possa esserci più sinergia e la cultura possa abbracciare fasce sociali più eterogenee?
La società è cambiata. Noi siamo cambiati. Alcuni decenni fa vi erano pochi luoghi di aggregazione: le parrocchie, le congregazioni laiche, le associazioni culturali (ben poche in verità), i partiti politici. Gli intenti erano diversi, ma ognuno lavorava nel proprio ambito. Oggi, invece, c’è un proliferare di associazioni, alcune senza scopo di lucro, altre per finalità lavorative. L’unico problema è che non esiste una cabina di regia; ognuno va per proprio conto e la divisione non permette mai di raggiungere gli obiettivi prefissati.
La Scuola, nei miei ricordi di studentessa, è stata sempre una interlocutrice primaria nel favorire l’accesso a tutto ciò che contribuiva ad arricchire un bagaglio culturale tramite letture e approfondimenti e visite guidate nei luoghi preposti. Quali sono oggi i rapporti tra mondo scolastico e A.B.M.C.?
Sono ottimi. Non sono poche le scuole della nostra città che hanno fatto della collaborazione con l’A.B.M.C. uno strumento non solo per arricchire culturalmente i discenti, ma per svolgere attività didattiche che hanno prodotto pubblicazioni, mostre, opere multimediali che hanno ricevuto consensi positivi, ma anche importanti ministeriali.
Prof. Pupillo la sua esperienza di docente sicuramente ha un peso favorevole sulla sua conoscenza del mondo giovanile. Cosa si sente di consigliare ai giovani e non solo perché l’amore per la cultura possa tramandarsi quale bisogno fondamentale degli individui a titolo personale e in una dimensione collettiva più degna di alto senso civico?
I giovani sono continuamente alla ricerca della libertà. Ma bisogna sapere cosa cercare, cos’è in realtà la libertà, cosa c’è alla base di questa meravigliosa parola. C’è bisogno di una Cultura con la C maiuscola, quella che serve a formare l’individuo, a far sì che egli dia il suo contributo intellettuale e morale alla creazione di una società a dimensione umana. Il “grido di battaglia”, cosciente e unanime che i giovani dovrebbe adottare, è l’aforisma di Immanuel Kant “Sapere aude”, abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza. E i giovani dovrebbero riflettere o essere aiutati a farlo dai genitori, dagli adulti in generale, attraverso la conoscenza del passato e la sua proiezione nel presente.
Grazia LORUSSO