La previdenza complementare disciplinata dal D.lgs. 5 dicembre 2005 n.252, ha lo scopo di integrare la previdenza obbligatoria (i.n.p.s.) per aumentarne l assegno pensionistico.
Le diverse riforme degli anni 1992 (Amato), 1995 (Dini), 2004 (Maroni) e 2011 (Monti), hanno rallentato la protezione pubblica pensionistica a causa di fattori demografici quali, l’aumento delle vita media, l’invecchiamento della popolazione ed il calo della natalità. Anche fattori socio-economici, hanno inciso fortemente sulla riduzione della prestazione pensionistica pubblica, quali ad es. l’aumento della scolarizzazione, il ritardato ingresso nel mondo del lavoro, il rapporto sempre più precario tra lavoratori e pensionati. Aggiungiamo inoltre che il nostro prodotto interno lordo non cresce abbastanza da guardare al futuro con serenità. Il nostro sistema pensionistico pubblico è detto a ripartizione perchè i contributi pagati dai lavoratori in attività, vengono utilizzati per erogare le pensioni ai pensionati di oggi.
Questa “ripartizione” ha consentito di tenere i conti in equilibrio sino agli anni ’80 permettendo ai pensionandi di andare in quiescenza con ‘l 80 per cento circa dell’ ultima retribuzione.
Andato in crisi a causa dei fattori già citati, si sono apportati dei correttivi con alcuni provvedimenti legislativi; tra questi il piu’ incisivo porta il nome dell’ex ministro Dini che sanci la chiusura del ben piu’ generoso sistema retributivo a svantaggio del sistema contributivo. Di fatto viene abolita la pensione di anzianità, cosi come l’ avevamo vissuta ed a regime la pensione di vecchiaia potrà essere erogata non prima di aver raggiunto i 67 di età anagrafica. Una deroga in tal senso è prevista comunque per tutti gli uomini che abbiano maturato un anzianità contributiva di 42 anni e 10 mesi, di 41 anni e 10 mesi.
Dal 1° maggio 2017 con legge di bilancio è stata introdotta l’ A.P.E. (anticipazione pensionistica) che consentiva a coloro che a quella data avevano raggiunto i 63 anni d’età, di ritirasi dal lavoro in anticipo per raggiungere la pensione. questo provvedimento è apparso da subito penalizzante, al punto che non dovrebbe essere reiterato. Il 2019 ha visto nascere la c.d. “quota 100”, con l’intento di abbinare l’età anagrafica agli anni di lavoro prestati purchè ricorrano i seguenti requisiti; sono infatti richiesti 62 anni d’età ed almeno 38 di contributi. Anche questa misura sembra essere destinata all’oblio per gli enormi costi pubblici.
Pesa inoltre come un macigno la revisione dei coefficienti di conversione delle pensioni pubbliche con penalizzazioni che incidono sull’ entità delle somme erogate. E’ evidente pertanto che il quadro che ne viene fuori sia fonte di giustificate preoccupazioni e sono sempre più numerosi i cittadini che ricorrono alla pensione privata integrativa.
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